Le prigioni di tipo F, in Turchia, sono quelle destinate ai prigionieri politici, ai membri di organizzazioni considerate terroriste e ergastolani. E paradossalmente, dunque, è lì che finiscono gli avvocati, colpevoli di difendere il popolo e i loro diritti. Specie se appartengono all’Associazione avvocati progressisti (Chd), messa fuori legge dal governo di Erdogan con i decreti emergenziali del 2018. Gli avvocati sono stati arrestati uno dopo l’altro, per presunti reati di terrorismo.

Un processo, il loro, caratterizzato da gravissime violazioni delle più elementari regole processuali e del diritto di difesa, come accertato anche da una missione internazionale di avvocati, provenienti da sette paesi europei, a cui ha partecipato il Cnf, che si è recata nell’ottobre del 2019 anche presso il carcere di Sliviri, a Istanbul, dove era detenuta Ebru Timtik. L’accusa si basava esclusivamente sui cosiddetti “testimoni segreti”, la cui identità è sconosciuta, impedendo un reale contraddittorio. Le violazioni erano state tali e tante che era legittimo aspettarsi che la Cassazione non potesse sostenere simili ingiustizie. Ma così non è stato.

Tra i membri del Chd c’erano anche Aytac Unsal e Ebru Timtik, i due avvocati che hanno protestato con lo sciopero della fame ad oltranza contro una giustizia ingiusta che continua imperterrita il suo percorso. Ebru è morta dopo 238 giorni di digiuno, un sacrificio che ha mobilitato la comunità internazionale e ha garantito a Aytac qualche giorno di libertà. Ma la sua scarcerazione si è rivelata una vera e propria farsa, dato il nuovo arresto al quale è stato sottoposto poche settimane dopo. Un arresto voluto e ottenuto dal ministro dell’interno turco Suleyman Solyu, lo stesso che aveva minacciato di far arrestare chiunque esponesse la foto di Ebru dopo la sua morte.

L’accusa, respinta con fermezza dall’Ufficio legale del popolo, era quella di aver tentato la fuga, per sottrarsi alla giustizia turca. Un’accusa infondata, in quanto ad Unsal, scarcerato per le sue precarie condizioni di salute, non era stato vietato lasciare la città. L’avvocato è stato arrestato davanti alle telecamere, torturato e sbattuto in isolamento, dove sarebbe dovuto rimanere solo 48 ore. Ma dal 10 dicembre 2020 non è mai uscito.

Dal carcere di Edirne, ora, Aytac ha scritto una lettera al Dubbio, ricordando la battaglia di Ebru, «mia compagna di giustizia». La lettera, vivisezionata dalla censura delle terribili carceri turche, porta il timbro della prigione. Ed è un grido di libertà, per tutti i popoli oppressi, in nome della libertà. E nella speranza di «spezzare le catene», come fece il popolo italiano contro il fascismo, sottolinea l’avvocato turco. Perché il fascismo sopravvive ancora oggi, con l’oppressione dei forti sui deboli, ricorda Aytac dalla sua cella. «Oggi, con il suono dei cingoli dei loro carri armati, bombe, razzi e le loro risate selvagge, fanno gemere il mondo - scrive nel modo più cauto possibile -. Ma basta semplicemente ascoltare per sentire la potente voce che si trova oltre il loro clamore. La domanda di giustizia e la rabbia dei popoli che cercano di liberarsi dalle loro catene è molto più grande. I potenti non riescono più a sopprimere la loro paura».

Ed è proprio per questo, afferma l’avvocato del popolo, che i governi vietano le manifestazioni di dissenso e promulgano leggi che zittiscono qualsiasi voce critica. «Ecco perché siamo stati imprigionati, per aver difeso il nostro popolo e la giustizia», sottolinea Aytac. «Siamo stati condannati a 159 anni. L’avvocato Ebru Timtik ha dato la sua vita per la giustizia», aggiunge, ma «non sono riusciti a ottenere risultati con le loro punizioni e repressioni. Volevano distruggere la difesa rivoluzionaria, ma la nostra lotta per la giustizia è stata ascoltata nel nostro Paese e in tutto il mondo. Anche se eravamo in isolamento, abbiamo continuato a essere gli avvocati del popolo, e continuiamo a esserlo».

Aytac si trova in carcere con le stesse persone che ha tentato di difendere dalle leggi del regime di Erdogan, come l’attivista Ayten Ozturk, accusata, senza alcuna prova, di essere dirigente di una organizzazione rivoluzionaria e sottoposta in carcere a trattamento disumano, con scosse elettriche, sciopero della fame e alimentazione forzata. Ozturk è stata condannata all’ergastolo proprio per aver denunciato le torture e gli abusi sessuali subiti. Altri assistiti di Aytac vivono in «celle di isolamento tipo “cunicolo”». Proprio per questo «le pressioni e gli attacchi di isolamento continuano. Vogliono distruggere la nostra coscienza che chiede giustizia per il popolo, costruendo attorno a noi prigioni. Ma non raggiungeranno il loro scopo», sottolinea Aytac. «Ci sono milioni di persone che hanno bisogno di giustizia e libertà come del pane e dell’acqua. Ci sono i popoli che sono morti con le parole “Patria libera” sulle labbra, anche se bruciati nel fuoco. Non è stata inventata nessuna arma che possa sconfiggere questo potere - sottolinea -. Continueremo a difendere la giustizia e la libertà dei popoli ovunque saremo, dentro e fuori dal carcere. Vi stringo la mano in amicizia con il calore della solidarietà che sentiamo ogni momento nella nostra resistenza e nelle celle. Mille saluti a tutti voi».