Una tassa di sbarramento sulla giustizia. Sulle cause civili. È la sorpresa della Manovra in materia processuale. Uno strappo al diritto di difesa che da stamattina scatena le reazioni degli avvocati, sui social e in tutti i luoghi, virtuali e fisici, possibili.
In base al contenuto del nuovo articolo 307-bis 76 del codice di procedura civile, cosi come enunciato all’articolo 105 del ddl di Bilancio, il “processo” si estinguerebbe “per omesso o parziale pagamento del contributo unificato. Più precisamente, prosegue la norma che a breve sarà esaminata dal Parlamento, “alla prima udienza il giudice, verificato l’omesso o il parziale pagamento, assegna alla parte interessata termine di trenta giorni per il versamento o l’integrazione del contributo e rinvia l’udienza a data immediatamente successiva. A tale udienza il giudice, in caso di mancato pagamento nel termine assegnato, dichiara l’estinzione del giudizio”. Nei casi di “domanda riconvenzionale”, “chiamata in causa”, “impugnazione incidentale”, interviene “l’improcedibilità”.
L’ incostituzionale mannaia si abbatte su tutte le parti del processo civile tranne che per i procedimenti cautelari e possessori. Il governo, nel proprio disegno di legge, tiene ad avvertire che non saranno risparmiati né il “rito del lavoro” né il “processo esecutivo”.
Di fatto, uno sbarramento fiscale alla giustizia. Un filtro paradossale per ridurre il carico delle controversie. Concepito anche per rincorrere i target del Pnrr, che in campo civilistico sembrano ancora difficili da cogliere (nel penale, com’è noto, le cose vanno molto meglio, e di fatto il disposition time è già in linea con le medie concordate dall’Italia in sede Ue).

Sta di fatto che fonti del Mef nelle ultime ore si sono affannate nel fornire interpretazioni sorprendenti. La misura viene presentata, tra le altre cose, come fantomatico “strumento di contrasto all’evasione degli avvocati”. Cioè, secondo la lettura suggerita dall’Esecutivo, la ratio della norma consisterebbe nell’arginare “il rischio che il mancato versamento, da parte degli avvocati (sic!), del contributo unificato, ricada in termini negativi su tutti i cittadini”. Lettura sintomo tanto di incompetenza quanto di assenza di logica, considerato che il contributo unificato è dovuto, ovviamente, non dal difensore ma dal cliente, dalla parte coinvolta nella controversia.
Sui social ci sono avvocati che fanno notare come in tante occasioni si faccia casomai il sacrificio di rinunciare a un pur minimo anticipo, in modo da venire incontro a clienti in difficoltà, ma anche come si segnali sempre, tra le spese che l’assistito deve mettere in conto, l’importanza del contributo unificato.
L’impressione che si ricava dalla scelta compiuta dal Mef è di voler tassare la giustizia, di volerla assoggettare all’adempimento preventivo di pagamenti senz’altro dovuti ma che, trasformati in “pregiudiziale”, finiscono per cancellare il diritto costituzionale alla tutela dei propri interessi e alla difesa in giudizio.
Una sorpresa sia per il trattamento sbrigativo, economicistico e “americaneggiante”, nel senso fordistico-deteriore del termine, che un governo fin qui disponibile quanto meno ad ascoltare gli operatori del diritto, e l’avvocatura innanzitutto, riserva improvvisamente alla giustizia, sia perché si tratta di una scelta inspiegabilmente temeraria. Sulla subordinazione dell’accesso alla giustizia – diritto costituzionalmente consacrato dall’articolo 24 – al pagamento preliminare di una tassa, si è già pronunciata negativamente, e in plurime occasioni, la Consulta: dall’ormai lontano 1966 con la sentenza 80 di quell’anno alla recente pronuncia 140 del 2022.
Scelta, quella dell’Esecutivo, difficile da interpretare. Così come si fatica a comprendere perché si siano fatte circolare voci su una insensata e letteralmente inventata responsabilità degli avvocati nell’elusione, addebitabile casomai ai loro clienti, del contributo unificato. Un bluff spiegabile, forse, con la necessità di presentare, in un modo o nell’altro, all’Unione europea, i saldi richiesti, a costo di lasciare sul tappeto verde fiches che, al primo giro di ruota (al primo rinvio alla Corte costituzionale) saranno perse come in una notte al casinò.
Oltre che sui social, il muro fiscale alla giustizia civile suscita le reazioni di almeno un partito d’opposizione, Avs, che con il deputato e avvocato Devis Dori dice: «Pur di fare cassa, non si limitano ai tagli con l’accetta: smontano i principi costituzionali».

Intervengono anche alcune rappresentanze dell’avvocatura. L’Organismo congressuale forense esprime «notevole preoccupazione» per una norma che assegnerebbe «di fatto al giudice poteri di amministrazione finanziaria». Si ricorda quindi come «ogni tentativo di subordinare il baluardo costituzionale della tutela dei diritti a imposizioni o a prestazioni patrimoniali» sia stato, «nel tempo, bocciato dalla Corte costituzionale».

L’Aiga, per voce del presidente Carlo Foglieni, osserva che «così come formulata, la nuova previsione normativa rischia di porsi come ostacolo al diritto costituzionalmente garantito del cittadino di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi, soprattutto per coloro che versano in condizioni economiche disagiate».
Le audizioni in commissione Bilancio dovrebbero partire a inizio settimana prossima. Il termine per gli emendamenti dovrebbe cadere il 10 novembre. Il tempo per rimediare c’è. Ma lo scivolone resta inspiegabile.