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Tempo di contratti. Non tutti ben scritti. E spesso claudicanti sulla giustizia. Il vertice dell’avvocatura, Andrea Mascherin, ne propone uno alternativo a quello per il governo del cambiamento: «Se un nuovo contratto va fatto, deve trattarsi di un accordo rafforzato tra avvocati e magistrati». Lo dice all’incontro di ieri al Csm in tema di “Monitoraggio sui regolamenti dei Consigli giudiziari”. Un focus tecnico, predisposto dalla sesta commissione del Consiglio superiore per fare il punto sull’autogoverno locale della magistratura. Il tema non è neutro, rispetto ai rapporti tra ordine giudiziario e profesione forense.
Ma lo stesso Mascherin non la mette sul piano della rivendicazione: «C’è un aspetto discusso più volte negli ultimi anni: la presenza a pieno titolo degli avvocati nei Consigli giudiziari e il diritto di voto che andrebbe loro riconosciuto anche nelle valutazioni della professionalità dei magistrati. Ebbene», chiarisce il presidente del Consiglio nazionale forense, «noi non pretendiamo tale riconoscimento, riteniamo che rafforzare il ruolo degli avvocati nei Consigli giudiziari costituisca un esito naturale. Al quale però la magistratura deve pervenire liberamente. È una scelta che credo debba maturare da parte vostra», dice Mascherin a una platea costituita appunto quasi esclusivamente da giudici e pm attivi negli orga- nismi del governo autonomo locale.
Su una cosa il vertice del Cnf non lascia margini di ambiguità: «Non considero appropriato discutere del cosiddetto diritto di tribuna. La parola stessa rimanda all’idea di qualcuno che non ha le capacità per stare in campo». L’obiettivo di una partecipazione «a pieno titolo», ribadito da Mascherin di lì a poco anche via twitter, è dunque da intendersi connesso a una più complessiva evoluzione dei rapporti tra i due soggetti della giurisdizione, magistrati e avvocati. Sviluppo «particolarmente necessario in tempi in cui la giurisdizione è bersagliata con attacchi da più parti», spiega il presidente del Cnf. Di fatto, la cornice entro cui si svolge l’incontro sui Consigli giudiziari evoca il notevole stato di avanzamento di quella collaborazione: proprio con il Csm infatti, il Cnf presieduto da Mascherin ha sottoscritto due anni fa un protocollo d’intesa che, come ricorda Giovanni Legnini, «ha già dato molti frutti». Ed è il presidente della settima commissione di Palazzo dei Marescialli, Nicola Clivio, a ricordare che sulla insufficiemza del «diritto di tribuna», l’attuale consiliatura «ha visto un primo presidente della Cassazione come Giovanni Canzio schierarsi su posizioni assai vicine a quelle di Mascherin». Ciononostante nella magistratura permangono ritrosie: il presidente del Consiglio nazionale forense chiede solo di non «cedere alle dissuasioni più inattendibili: per esempio al timore che se all’avvocato fosse consentito di far pesare il proprio giudizio nelle valutazioni di professionalità di un magistrato, costui tenderebbe a favorirlo nei processi. Si tratta di una sottovalutazione della professionalità di entrambi, il magistrato e l’avvocato, che può riguardare solo una patologia di sistema».
Ci sono ben altre ragioni che spingono invece a quell’avvicinamento, a quel reciproco affidarsi tra i due protagonisti della giurisdizione, ed è appunto quell’offensiva contro l’autonomia del sistema giustizia a cui, dice Mascherin, «si assiste sia in nome dell’efficientismo che per l’invadenza dei media. C’è da essere preoccupati per una strisciante insidia che è di fatto un attacco allo stato di diritto. Non si può ridurre il processo a una performance del magistrato da misurare in funzione del Pil. La qualità deve essere prioritaria rispetto ai tempi di definizione. Né è tollerabile», per il vertice del Cnf, «che un giudice debba essere assediato dalla cosiddetta giuria mediatica per aver osato negare magari una misura cautelare in carcere o per aver condannato un imputato a 10 anni anziché ai 15 che ci si attendeva. Non si può essere massacrati sui social per le decisioni assunte: ma succede senpre più spesso. E questo è appunto un attacco all’autonomia della giuridizione». Non semplicemente alla autonomia e indipendenza dei magistrati: «Viene messo in discussione il nostro impareggiabile sistema di garanzie», avverte Mascherin, «e s’intravede il rischio che qualcuno voglia porre la magistratura sotto un controllo esterno. Al potere giustamente attribuito all’ordine giudiziario dai Costituenti, e in particolare da un avvocato qual era Piero Calamandrei, può affiancarsi solo un equilibratore che sia invece interno alla giurisdizione, ossia l’avvocato. Un avvocato autonomo, non invasivo ma che contribuisce a vigilare sulle regole del giusto processo».
Ecco il passo avanti che, quando sarà compiuto, potrà portare anche «alla partecipazione a pieno titolo degli avvocati nei Consigli giudiziari». Uno sbocco naturale che dev’essere parte di quel «contratto rafforzato» tra avvocaura e magistratura. L’intesa, nella prospettiva descritta da Mascherin, sarebbe utile anche a prevenire le iperboli che i partiti possono essere tentati di inserire tra le clausole dei loro “contratti”. Una chiave, quella proposta ieri dal presidente del Cnf, che forse può anticipare gli sviluppi del sistema giustizia al tempo del governo Lega- cinquestelle. Un tornante che ripropone un’opportuna distanza tra politica e giustizia. Con avvocati e magistrati dalla stessa parte a difendere il confine.