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«L’avvocatura non ha perso occasione di segnalare il pericolo, talvolta evidente, altre volte subdolo, di “scollamento” tra esigenze di tutela e le proposte modificative individuate, di rappresentare dubbi, perplessità e infine anche un non trascurabile disagio per l’utopistica visione (priva delle scintille rinascimentali ispiratrici di modelli di felicità dove la cultura domina e informa le regole di vita delle comunità) di un sistema efficiente efficace equo e solidale». Così la presidente del Consiglio nazionale forense, Maria Masi, nel discorso alla cerimonia di inaugurazione dell'anno giudiziario che si tiene al Maxxi di Roma, alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Le soluzioni indicate da Masi
«Bisogna allora che avvocatura e magistratura insieme chiedano con voce ferma interventi emendativi e non solo con finalità di mero seppur utile monitoraggio. Non è solo l’esercizio del diritto di difesa che rischia di essere sacrificato» ha spiegato Maria Masi.
«L’imperativo poco categorico ma molto autoritario delle esigenze di statistica mina sicuramente i diritti dei cittadini, ridimensiona e sacrifica la funzione dell’avvocato ma rischia anche di trasformare il magistrato in burocrate. E non è certamente questo che renderà la nostra giustizia efficiente ed efficace tempestiva e giusta», aggiunge Masi.
Avvocati e magistrati sempre più minacciati. Il ricordo di Enzo Fragalà
«Sempre più spesso e non solo nei regimi totalitari, ad essere in pericolo non è solo la funzione di difesa ma l'avvocato in quanto tale, per il solo fatto di aver svolto, con correttezza e rigore il proprio ruolo» denuncia Maria Masi, presidente del Consiglio nazionale forense citando il caso dell'avvocato siciliano Enzo Fragalà «ucciso a bastonate sotto il suo studio oltre dieci anni fa».
«Avvocatura, sempre più spesso, vittima di minacce perché identificata con le parti assistite. Nella narrazione quotidiana, per la distorta, purtroppo non rara, opinione pubblica, l'avvocato è complice del criminale o peggio difensore non dell'uomo, della persona, bensì del crimine» ha sottolineato, e ha ricordato che in altri Paesi, «non lontani dal nostro, gli avvocati, in quanto difensori di diritti non riconosciuti sono perseguitati, torturati, uccisi, esattamente come chiunque si ribelli al sistema soprattutto se giovani, se donne, e se dimostrano di non voler cavalcare cavalli di legno come testimonia la rivoluzione delle giovani donne iraniane, a cui il Consiglio ha sentito il dovere non solo di manifestare solidarietà ma di essere loro vicino con tutti i pochi ma non per questo vani strumenti a disposizione. In questi casi - ha concluso Masi - ad uccidere con altrettanta ferocia è l'indifferenza di cui l'avvocatura non può essere né portatrice, né interprete, anche per non vanificare il sacrificio di chi non ha avuto alcuna esitazione quando ha dovuto scegliere chi essere e cosa fare».