PHOTO
DONALD TRUMP PRESIDENTE USA
Culla della democrazia, patria dei diritti e delle libertà. Sono ancora definizioni calzanti, per gli Stati Uniti? Il ritorno alla Casa Bianca di Donald Trump ha subito provocato degli scossoni e spazzato via alcune certezze. In tanti si chiedono se le distanze tra le due sponde dell’Atlantico rimarranno le stesse o saranno sempre maggiori. L’eloquio del tyccon è crudo, aggressivo, al limite dell’abrasività, tanto sui temi interni quanto su quelli che guardano oltre gli oceani. E alle parole stanno seguendo i fatti. Con il ritorno alla Casa Bianca, il presidente americano pare voglia regolare una serie di conti rimasti in sospeso durante i quattro anni di permanenza a Washington di Joe Biden. Ogni volta che The Donald apre bocca sono bacchettate – è un eufemismo – per tutti. Compresi gli avvocati americani.
Trump ora sembra non amarli, così come diffida di molti giudici che considera responsabili della propria mancata rielezione di quasi cinque anni fa. Il rapporto con gli avvocati lo possiamo definire di amore-odio. Prima del giuramento solenne come 47° presidente degli Stati Uniti, Trump ha proiettato, alla presenza anche di Giorgia Meloni, nella sontuosa residenza di Mar-a-Lago, il docufilm “The Eastam Dilemma: lawfare or justice”. Un gesto di vicinanza nei confronti di un suo ex avvocato, John Eastman, ingiustamente perseguitato per aver difeso il tycoon e, quindi, per essere stato dalla “parte sbagliata”.
L’avvocato è stato radiato dallo Stato della California nel tentativo di ribaltare i risultati delle elezioni del 2020 con Trump candidato per la seconda volta. A Mar-a-Lago si trovava pure un principe del foro, Alan Dershowitz, che in una intervista al Corriere della Sera ha offerto una chiave di lettura interessante: «Il film riguarda gli abusi della giustizia in tutto il mondo, e ci si muove sempre di più verso quello che chiamo lawfare, termine che ho inventato molti anni fa. È un concetto molto pericoloso, usato da regimi repressivi per anni, Stalin nell’Urss, dittatori sudamericani, Mussolini ovviamente, per servirsi del sistema legale a scopi politici di parte. E ho visto Meloni scuotere la testa più volte. Mi sembra che le sia piaciuto, senz’altro era interessata».
Ora la situazione si è ribaltata. Se qualcuno confidava in un atteggiamento un pochino garantista, si è sbagliato di grosso. A marzo Donald Trump ha iniziato la propria personale crociata contro l’avvocatura, tanto da suscitare le preoccupazioni dell’American Bar Association (Aba), che ha parlato di attacco allo Stato di diritto. Il primo passo è stato un memorandum per «prevenire gli abusi del sistema legale e della Corte federale», considerato intimidatorio nei confronti della classe forense, con l’obiettivo di impedire agli avvocati di intentare cause contro l’amministrazione Usa. È di questi giorni la notizia di una serie di ordini esecutivi del presidente americano che prendono di mira alcuni degli studi legali più prestigiosi. Una modalità per intimidire gli oppositori politici, che, oltre a minare lo Stato di diritto, fa temere – per i destinatari di alcuni provvedimenti – una “fuga” della clientela, il calo dei fatturati e, soprattutto, un esercizio del diritto di difesa con minor convinzione.
Le “attenzioni” trumpiane hanno interessato le law firms Perkins Coie, Paul Weiss, Wilmer Cutler Pickering Hale and Dorr LLP e Jenner & Block. Un provvedimento che ha interessato Paul Weiss è stato revocato dopo che Trump ha raggiunto un’intesa in base alla quale, tra le varie garanzie, lo studio ha accettato di fornire 40 milioni di dollari in servizi legali pro bono per cause sostenute dall’amministrazione. Altri accordi con l’amministrazione Trump sono stati raggiunti da Covington & Burling e Skadden, Arps, Slate, Meagher & Flom.
Di recente è stato il turno di Willkie Farr & Gallagher. Lo studio legale è stato fondato nel 1888, è tra i dieci più importanti degli Stati Uniti con uffici su tutto il territorio nazionale, a partire da New York, e in altri 15 Paesi (per un totale di 1.200 professionisti). A capo dell’ufficio di Los Angeles c’è Doug Emhoff, marito di Kamala Harris, candidata democratica alle presidenziali dello scorso mese di novembre. La law firm ha raggiunto un accordo con l’amministrazione Trump per destinare almeno 100 milioni di dollari in servizi legali gratuiti a cause che hanno come oggetto, ad esempio, il sostegno ai veterani e la lotta all’antisemitismo.
La “pace” è stata annunciata da “The Donald” sul social Truth. Alla base dell’intesa c’è l’impegno dello studio legale a non perseguire intenti dannosi, dentro o fuori i tribunali, per l’amministrazione guidata nuovamente dal tycoon. La Casa Bianca ha riferito che Willkie Farr & Gallagher si impegna a «porre fine alla militarizzazione del sistema giudiziario e della professione legale». In un passaggio si enfatizza un’espressione che sarà sempre più ricorrente quando si parlerà di giustizia, il “partisan lawfare”, con riferimento all’uso strumentale e fazioso della legge per danneggiare qualcuno. «Il presidente – è scritto nella nota della Casa Bianca – sta mantenendo le sue promesse per sradicare il Partisan Lawfare in America e ripristinare la Libertà e la Giustizia per tutti ». Thomas Cerabino, presidente di Willkie Farr & Gallagher, ha detto che «l’accordo con il presidente Trump e la sua amministrazione riguarda questioni di grande importanza per il nostro studio. La sostanza di tale accordo – ha commentato – è coerente con le opinioni del nostro studio sull’accesso alla rappresentanza legale in favore dei clienti, compresi quelli pro bono, con il nostro impegno a rispettare la legge in relazione alle pratiche che ci riguardano e in riferimento alla nostra storia di collaborazione con clienti con un ampio spettro di opinioni politiche.
Lo studio non vede l’ora di avere un rapporto costruttivo con l’amministrazione Trump e continua ad impegnarsi per soddisfare le esigenze dei nostri clienti, dei nostri dipendenti e delle comunità di cui facciamo parte». Per il momento, dunque, meglio essere acquiescenti con il presidente americano e non sfidarlo.