«Appare utile ricordare a tutti gli attori della giurisdizione che “in una società fondata sul rispetto della giustizia, l’avvocato riveste un ruolo speciale. Il suo compito non si limita al fedele adempimento di un mandato nell’ambito della legge. L’avvocato deve garantire il rispetto dello Stato di Diritto e gli interessi di coloro di cui deve difendere i diritti e le libertà (..) Il rispetto della funzione professionale dell’avvocato è una condizione essenziale dello Stato di diritto e di una società democratica”, come recita il Codice Deontologico degli Avvocati Europei del Consiglio degli Ordini Forensi Europei (CCBE), all’articolo 1.1. (...) Se, purtroppo, minacce, aggressioni e persecuzioni da parte del potere di Stati non democratici o da parte dell’opinione pubblica sono tristemente noti, si avverte, con forte preoccupazione, come siano in aumento azioni disciplinari o (minacce di) denunce per contenuti non graditi nelle arringhe o nelle interlocuzioni con l’autorità giudiziaria». A dirlo è l’Unione delle Camere penali italiane, con una nota di solidarietà a Ugo Ledonne, avvocato del foro di Cosenza, finito nel mirino di un pm di Verona per aver contestato le domande di un giudice. L’avvocato, infatit, si era opposto alle domande che il giudice aveva rivolto al testimone già sentito ad indagini difensive. La controversia è nata quando il penalista ha ritenuto che tali domande potessero compromettere la genuinità delle risposte, inducendo il teste a fare confusione sugli eventi. Ricordiamo che il diritto di opporsi a domande suggestive o nocive è un pilastro fondamentale del contraddittorio. Tale diritto trova fondamento nel comma 6 dell’articolo 499 del codice di procedura penale e nella giurisprudenza della Corte di Cassazione (Cass. Sez. IV, 6.2.2020 n° 15331, n. sez. 251/ 2020). Il pubblico ministero, a fronte della immediata replica dell’avvocato, che ha rivendicato la legittimità della opposizione e ha chiesto al giudice di interloquire per precisarla, ha tentato di “zittire” l’avvocato prima della decisione del giudice, e gli ha rivolto l’inquisitorio ammonimento: “Lo farà in procura”, stando a quanto evidenziato dai penalisti cosentini sulla base delle trascrizioni di cui sono entrati in possesso. Prima di questo passaggio, il giudice aveva chiesto al pm se volesse “ritrattare” la sua richiesta, domanda caduta evidentemente nel vuoto.

«In un Paese democratico – continua l’Ucpi - il processo è il luogo fisiologicamente dedicato alla soluzione dei conflitti sociali ed è anch’esso luogo di confronto e sovente di contrasto dialettico tra le parti e in alcuni casi tra lo stesso giudice e le parti. Tale dialettica, talvolta persino aspra, è funzionale all’accertamento processuale dei fatti attraverso il contraddittorio, nel rispetto delle regole del codice di rito. La minaccia di trasmissione degli atti alla Procura rivolta al difensore che abbia formulato, peraltro con modalità continenti e argomentazioni chiare e per nulla offensive, un’obiezione alla domanda ritenuta nociva posta dal Giudice pone in discussione dalle fondamenta la natura stessa e la funzione del processo, mirando a neutralizzare ogni contraddittorio e sterilizzare la difesa attraverso l’intimidazione. Dobbiamo, altresì, purtroppo registrare come, di fronte a tale atteggiamento chiaramente intimidatorio posto in essere dal pm, sia mancato un immediato e fermo richiamo del Giudice rivolto all’organo dell’accusa a rispettare il difensore e la sua inviolabile funzione, il processo ed anche lo stesso Tribunale», ha dunque evidenziato l’Ucpi, che ha definito «allarmante» la situazione in cui operano quotidianamente i difensori «a causa della delegittimazione della loro funzione – anche frutto della erronea assimilazione tra l’avvocato e le imputazioni a carico del proprio assistito». Per tale motivo, l’Unione guidata da Francesco Petrelli – nella nota firmata anche dal segretario Rinaldo Romanelli – si «riserva di assumere ogni iniziativa necessaria ad assicurare il libero esercizio del diritto di difesa costituzionalmente e convenzionalmente riconosciuto, nella piena convinzione dell'irrinunciabile funzione di garanzia che l'avvocatura svolge all'interno della giurisdizione, affinché episodi quale quello avvenuto al Tribunale di Verona non abbiano più ad accadere e, in futuro, vi sia maggiore rispetto per il ruolo del difensore nel processo, perché sia assicurato che gli avvocati siano in grado di svolgere tutte le loro funzioni professionali senza intimidazioni, ostacoli, molestie o interferenze improprie e che i difensori non subiscano, o siano minacciati di subire, azioni penali o sanzioni amministrative, economiche o di altro tipo per qualsiasi azione intrapresa in conformità con i doveri, gli standard e l'etica professionale riconosciuti, come recita il principio n. 16 dei Principi Base delle Nazioni Unite sul ruolo del difensore, licenziati oltre 30 anni fa all’Avana ma evidentemente non ancora noti a tutti».