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L'avvocato Antonio Murano del foro di Potenza
L’assenza giustificata in udienza dell’avvocato scatena l’ira del pubblico ministero, che manda i carabinieri a casa del professionista. È successo al Tribunale di Potenza. In occasione di un’udienza penale prevista lo scorso 24 marzo, l’avvocato Antonio Murano è stato impossibilitato, per motivi di salute certificati dal medico, a raggiungere il Palazzo di giustizia del capoluogo lucano e ha richiesto verbalmente, per il tramite di un collega, il differimento dell’udienza.
Nulla da eccepire da parte del Collegio B, presieduto dal giudice Federico Sergi, che ha accolto l’istanza del legale. A questo punto, però, si verifica l’imprevedibile. Il Collegio giudicante riceve, rigettandole, due richieste del pm Giuseppe Borriello. La prima volta a verificare le condizioni dell’avvocato assente per motivi di salute; la seconda riguardante la trasmissione del certificato alla Procura delle Repubblica.
La vicenda prende una piega a dir poco incredibile. «Dopo qualche ora – racconta l’avvocato Murano, che ha voluto informare, tra gli altri, il Consiglio nazionale forense, le Camere penali ed il Csm - nel primo pomeriggio, intorno alle 14, l’inaspettato arrivo nella mia dimora di un medico. Si è presentato accompagnato dai carabinieri per effettuare una visita disposta dalla Procura di Potenza. Pur non essendo questi visitatori muniti di alcun provvedimento giudiziario, e pur in assenza delle obbligatorie informazioni previste dagli articoli 369 e 369-bis del Codice di procedura penale, animato da uno spirito collaborativo e non avendo alcunché da occultare non mi sono opposto. Ho consentito quindi al medico di verificare il mio status».
L’avvocato Murano, penalista apprezzato in Basilicata e fuori regione, con quasi quarant’anni di carriera, non nasconde la propria amarezza. «Ho pensato – dice - che si trattasse di una esagerazione, immaginando che qualcuno avesse potuto dubitare della genuinità del certificato attestante la mia malattia, anche se non mi pare che sia mai stata disposta un’ispezione medica su un avvocato, né in tantissimi anni di onorata professione mi è mai capitato di sentire un episodio simile. Ad ogni modo, consentita la visita alla quale mi sarei potuto lecitamente opporre e concessa al medico inviato dalla Procura la facoltà di verificare le mie condizioni, ho sperato che la faccenda fosse chiusa».
Non è andata invece così. Anzi, le cose si sono complicate ulteriormente con il coinvolgimento di alcuni parenti stretti del legale. «Con stupore – spiega - ho appreso di essere addirittura indagato, non so per cosa, e nell’ambito di tali indagini sono stati disposti gli interrogatori di mia madre, che ha più di ottant’anni, mio fratello e mio figlio Pasquale, che svolge con me la professione forense». Coinvolto anche il medico, Donato Labella. «Si tratta – aggiunge l’avvocato Murano – di uno stimato professionista, colpevole, è proprio il caso di dirlo, di avermi visitato e redatto il certificato. È stato trattenuto per circa tre ore nella caserma dei carabinieri di Rionero in Vulture, in provincia di Potenza, attinto da decreto di perquisizione locale e personale e decreto di sequestro del telefonino, vedendosi privato del dispositivo contenente le applicazioni relative all’identità digitale, necessarie, tra le altre cose, a firmare le guarigioni da Covid-19 e disporre la fine della quarantena dei suoi pazienti».
Una giornata lunghissima e da dimenticare quella del 24 marzo scorso per l’avvocato Murano. Con l’aggiunta di ulteriori anomalie e forzature. «In prima serata – spiega -, verso le 20, i carabinieri si sono recati, in mia assenza, presso il mio studio legale di Rionero in Vulture. Con tatto e discrezione, non posso negarlo, hanno chiesto di acquisire le registrazioni della videosorveglianza. Anche in tale occasione la richiesta appare anomala, in quanto non mi è stato notificato alcun avviso di garanzia che legittimasse atti invasivi della privacy e, quindi, pur sussistendo i presupposti per opporsi, veniva consentito l’accesso, che non dava alcun esito in quanto il sistema non era funzionante. Tutto si è verificato senza che io abbia ricevuto, ad oggi, un’informazione di garanzia o qualunque altro provvedimento, a fronte di azioni fortemente invasive del campo professionale e privato. Né si comprende la ragione di un simile sospetto che ha portato all’immediata iscrizione della notitia criminis con cotanto dispiego di forze, posto che il procedimento penale oggetto di rinvio non è prossimo alla prescrizione, i cui termini sarebbero rimasti, in ogni caso, sospesi, visto il differimento per motivi di salute del difensore».
Forse, quanto accaduto nel Tribunale di Potenza e nella città di Rionero, un tempo rientrante nel circondario del Tribunale di Melfi, soppresso nel 2013, non ha precedenti sia per la storia dell’avvocatura sia per quella della magistratura. «Ritengo – commenta l’avvocato Murano – quanto accaduto di una abissale gravità a maggior ragione se si tiene conto che il Collegio aveva ritenuto inopportuno qualsiasi accertamento, rigettando la relativa richiesta. È il momento, da parte di tutti gli organismi forensi e dell’intera avvocatura, di intraprendere ogni iniziativa volta a dare risalto con decisione all’accaduto al fine di affermare con forza il decoro ed il prestigio della classe forense, denigrato ed umiliato da episodi come quelli che mi hanno interessato, evitando, con fermezza, che possano incrinare i rapporti di stima tra magistratura e avvocatura, con azioni ingiustificatamente dirompenti, la cui eco rischierebbe di proscrivere anche le più banali facoltà difensorie nell’alveo della paura di vedersi colpiti da simili episodi».
Il legale del Foro di Potenza spera che quanto accaduto possa rientrare presto nei binari dell’equilibrio e della sobrietà dei comportamenti per tutti i protagonisti della giurisdizione. «Nel reciproco rispetto dei ruoli – conclude - è auspicabile che ciascun interprete eserciti i propri poteri e le specifiche prerogative con equilibrio e moderazione, al di là di ogni tensione. Il Tribunale è l’ambiente di lavoro degli avvocati e dei magistrati. È compito di tutti, quindi, agire nel prudente principio della cordialità e del vicendevole rispetto, che dovrebbe costituire la regola fondamentale dei rapporti tra le parti, nel supremo interesse della giustizia».