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Una giustizia depauperata, la richiesta di maggior spazio per la dignità delle professioni, la salvaguardia del principio dei diritti nella disponibilità delle parti, un dialogo costruttivo con la magistratura e l’accesso al credito per gli avvocati. Sono tanti i temi che hanno aperto il congresso nazionale forense, dando alla politica gli spunti da affrontare in un’ottica riformista. Un’ottica che non può essere emergenziale, ha anticipato nei suoi saluti alla platea il presidente del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Catania, Maurizio Magnano di San Lio, che ha denunciato il rischio, in questo modo, «di non poter svolgere il lavoro quotidiano». E l’obiettivo è evitare che la giustizia si trovi ad interagire con il cittadino come accaduto a Bari, in tenda, «simbolo del contesto storico in cui ci troviamo», nel quale si rischia di deteriorare le basi stesse di una professione in crisi. Per superarla, la soluzione è il riconoscimento dell’avvocato in Costituzione, che vorrebbe dire diritto alla difesa e protezione dalle aggressioni, sempre più frequenti. «Abbiamo la necessità - ha sottolineato Massimo Dell’Utri, presidente dell’Unione dei Fori siciliani che l’avvocato abbia dei diritti e che la sua attività venga riconosciuta». Nel suo ruolo fondamentale, ha evidenziato anche Domenico Carcano, presidente aggiunto della Corte di Cassazione, secondo cui «gli avvocati sono protagonisti importanti, che in sede di legittimità devono far rivivere la loro presenza nel processo, cercando di portare avanti quelle che ritengono siano state le violazioni rilevate nel giudizio di merito».
Il congresso di Catania ha introdotto una novità assoluta, la possibilità che le mozioni potessero essere presentate da tutti gli avvocati ed esaminate prima dall’ufficio di presidenza. «Posso testimoniare gli umori dell’avvocatura italiana», ha affermato Antonio Rosa, coordinatore uscente dell’Organismo congressuale forense. A partire dalla necessità di «salvaguardare il principio che il diritto resti nella disponibilità delle parti» nel processo civile, messo in discussione solo nei regimi totalitari e difeso ora dagli avvocati, che si sono opposti all’abolizione di tutti i testi dei codici di procedura civile. Ma c’è anche la volontà di scommettere sulla capacità degli avvocati di mediare e negoziare le liti prima del processo, garantendo anche in questi casi il patrocinio a spese dello Stato. Non sono più tollerabili, dunque, politiche avverse all’avvocatura, che richiede anche più campi di lavoro, sgravando la pubblica amministrazione di molte attività. L’addio di Rosa al Congresso avviene con un appello: rafforzare l’unità dell’avvocatura, evitando i conflitti, e interloquendo onestamente con la politica. «Le norme - ha concluso - sono come i figli: se nascono male finiscono peggio e se sono tante non riusciamo a tenerle tutte sotto controllo».
A rappresentare i magistrati c’era Francesco Minisci, presidente dell’Anm, che ha evidenziato le gravi criticità della giustizia, a partire dall’edilizia, che penalizzano il sistema in termini di efficacia. Per proporre interventi migliorativi alle istituzioni, ha spiegato, «è fondamentale il dialogo con l’avvocatura» e interventi efficaci, che «non possono prescindere da importanti risorse economiche». A partire «dall’accelerazione dei processi e dalla redistribuzione delle piante organiche sui territori nazionali, soluzioni a costo zero». Ma l’importanza del congresso, ha evidenziato Nunzio Luciano, presidente della Cassa forense, è data anche dalla possibilità di uscirne con un messaggio forte, un’avvocatura unita. Così come la possibilità di avere un’interlocuzione politica, «perché è quello che a noi manca». Per essere libera e indipendente, l’avvocatura «deve avere una cassa autonoma, i cui risparmi non devono essere sottratti ai contribuenti - ha sottolineato per iniziative che devono invece coinvolgere lo Stato».