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Maria Masi, presidente del Consiglio Nazionale Forense
I tempi che stiamo vivendo sono definiti tempi di “policrisi”. Crisi – climatica, ambientale, economica e, purtroppo, anche geopolitica – stanno investendo la nostra Nazione. Per affrontarle sarà necessario impiegare ingenti risorse pubbliche. Il corretto ed efficiente utilizzo dei relativi flussi finanziari è oggetto di tutte le funzioni della Corte dei conti a tutela della Repubblica.
Viene, infatti, in rilievo immediato la previsione dell’art. 103 Cost., che codifica nelle sue componenti essenziali la “missione” costituzionale della Corte dei conti, missione che consiste nel presidiare appunto con gli strumenti della giurisdizione l’ampio campo della contabilità pubblica, i cui mobili confini sono oggetto di riserva assoluta di legge. E l’auspicio è naturalmente che il presidio della Corte sia un efficace deterrente al compimento di eventuali illeciti.
L’azione della Magistratura contabile, in particolare, è essenziale per garantire la realizzazione dei molteplici e ambiziosi obiettivi strutturali disegnati nel PNRR. Il mancato raggiungimento degli obiettivi comporterebbe gravi ricadute finanziarie, difficilmente affrontabili dall’economia nazionale e probabilmente nemmeno dalla stessa Ue.
Alla Corte dei conti è attribuito il controllo sulla gestione dei fondi del PNRR, secondo quanto dispone l’art. 7, comma 7, del decreto- legge n. 77 del 2021, in cooperazione e coordinamento con la Corte dei conti europea, e con l’obbligo di riferire al Parlamento almeno semestralmente. A ben vedere, sono tutte le funzioni di controllo della Corte ad avere ad oggetto l’impiego delle risorse per la ripresa, il che determinerà il coinvolgimento delle diverse Sezioni con uno sforzo ampio e inedito.
Il legislatore ha anche potenziato le funzioni consultive della magistratura contabile, nell’art. 46 della legge n. 238 del 2021, proprio con riferimento al PNRR e dei fondi complementari. I pareri della Corte dei conti possono essere un utile strumento di orientamento per gli enti pubblici impegnati nel difficile compito di realizzare – nei tempi previsti – gli interventi finanziati con le risorse europee.
Spetta però all’Avvocatura assistere le amministrazioni e le imprese nell’affrontare le questioni concrete, le difficili scelte amministrative, aiutandole in una selva intricata di disposizioni in costante attesa di semplificazione.
Certamente anche le funzioni giurisdizionali della Corte sono chiamate a tutelare il rispetto dei principi costituzionali che presidiano il buon andamento dell’azione amministrativa e gli equilibri di finanza pubblica, con un’attenzione particolare al corretto utilizzo dei fondi del PNRR. In particolare, la giurisdizione sulla responsabilità per danno erariale conferma la sua centralità. Centralità non scalfita dalle limitazioni al perimetro dell’illecito, stabilite – per un lasso di tempo limitato – dall’art, 21 del decreto- legge n. 76 del 2020. Infatti, le fattispecie dolose sono e saranno sempre sanzionabili, pur alleggerendo amministratori e funzionari dalla prospettiva della responsabilità per condotte attive gravemente colpose. È innegabile che il legislatore, nella stagione del PNRR, intenda contrastare la cosiddetta “paura della firma”.
La chiara volontà del decreto-legge citato di restringere il perimetro della responsabilità dei pubblici agenti si ricava anche dalla riscrittura del reato di abuso d’ufficio contenuta nell’art. 23. Una novella ancora insufficiente a scongiurare la prospettiva di numerose istruttorie penali aperte per il medesimo delitto anche se seguite da un minor numero di processi e da poche condanne. La natura ancora indeterminata dell’abuso d’ufficio fa temere a chi agisce per la pubblica amministrazione la contestazione di qualsiasi operato, con il rischio di essere trascinati in una sequela di penose conseguenze per la sola apertura di un fascicolo.
L’auspicio è, piuttosto, che la responsabilità sia ragione di stimolo e non di disincentivo per l’azione amministrativa e sia conforme ai canoni di proporzionalità, prevedibilità e ragionevolezza, che, con riferimento a tutte le responsabilità che gravano sui pubblici agenti – contabile e penale comprese –, si fatica a veder concretamente rispettati nel “diritto vivente”.
Ferme restando le responsabilità erariali accertate e accertande da parte della Corte, merita, poi, una sottolineatura l’annosa quaestio relativa alla mancanza di effettività dell’esecuzione contabile e alla conseguente modestia dei recuperi nei confronti dei condannati. Sul che, naturalmente, non si possono muovere addebiti alla Corte dei conti e, spesso, neanche alle amministrazioni interessate.
Si potrebbe/dovrebbe, quindi, avviare un dibattito, immaginando alcuni correttivi che, ad esempio, incidano sulle norme relative all’esecuzione delle sentenze di condanna, di cui agli artt. 212 ss. del Codice di giustizia contabile, norme che presentano dei limiti, soprattutto per le ipotesi di crediti riferibili a più amministrazioni o alla previsione di più vie di recupero, equiordinate, ma non fungibili tra loro. Rendere più efficace l’esecuzione delle pronunce contabili può contribuire ad accrescere le entrate pubbliche e avere riflessi sulla fiscalità generale.
Da ultimo, mi sia consentito tornare su di una questione già argomentata e sottoposta alla Vostra attenzione negli interventi per l’inaugurazione degli ultimi due Anni giudiziari e che attiene, piuttosto, alle funzioni di controllo della Corte. Mi riferisco alla paventata applicabilità agli Ordini professionali della disciplina propria delle PP. AA. tout court, applicazione senza alcun adattamento, pedissequa, e a volte anche contraria al buon senso. Si tratta di un’assimilazione degli Ordini al resto del comparto pubblico che suscita perplessità.
La ragione invocata dell’assimilazione è che le normative genericamente rivolte al comparto pubblico, piuttosto che delimitare precisamente il proprio campo di applicazione in funzione degli obiettivi e della ratio del singolo intervento legislativo, si limitano per lo più a richiamare l’art. 1, comma 2, d. lgs. n. 165/ 2001 ( T. U. pubbl. imp.), fonte che contiene un elenco del settore pubblico in origine pensato solo per le disposizioni in tema di pubblico impiego, e che contempla anche gli enti pubblici non economici.
Tuttavia, gli Ordini professionali sono sì enti pubblici, ma esponenziali di comunità professionali. Sono enti pubblici a carattere associativo, come recita la legge forense, e non possono essere assimilati a Ministeri, enti locali e altre tipologie di istituzioni pubbliche, in quanto ricevono denaro solo dai singoli iscritti e non gravano sulla fiscalità generale. Per la stessa ragione, infatti, anche la Corte di giustizia dell’Ue ha escluso che gli Ordini professionali possano essere considerati organismi di diritto pubblico per l’applicazione della normativa sugli appalti pubblici.
Del resto, non si ritiene che le partecipazioni societarie eventualmente detenute da questi enti possano incidere – per dimensione e natura delle risorse degli Ordini – sulla tutela della concorrenza e del mercato, ratio ispiratrice delle norme del Testo Unico sulle società pubbliche, d. lgs. n. 175 del 2016, né sugli equilibri di bilancio. Anche il Tar del Lazio con la sentenza del 2 novembre 2022 n. 14283, è intervenuto, annullando in parte la circolare MEF che pretendeva di acquisire dagli ordini professionali le comunicazioni sui costi del personale che richiede normalmente alle pubbliche amministrazioni.
La sentenza valorizza l'art. 2, comma 2 bis DL 101/ 2013, dal quale ricava due norme:
- agli ordini professionali, benché enti pubblici, non si applica in via automatica l'intera disciplina sul pubblico impiego, ma solo i principi e non certo una disposizione di dettaglio quale l'obbligo di rilevazione dei costi del personale;
- agli ordini professionali non può applicarsi in via automatica neppure la disciplina generale sul contenimento della spesa pubblica.
Quanto sopra perché gli ordini non gravano sulla spesa pubblica così come il costo del loro personale. Occorre piuttosto “un’espressa previsione legislativa finalizzata a individuare, di volta in volta, quali principi sulla razionalizzazione e sul contenimento della spesa pubblica possono applicarsi agli ordini professionali, fermo restando il potere del legislatore di dettare di volta in volta una disciplina ad hoc per tali enti”.
Per le stesse ragioni, gli ordini professionali dovrebbero essere, dunque, esclusi dall’applicazione della normativa sulle società pubbliche. Ancora una volta mi sia consentito sottolineare come sia in ogni caso da scongiurare il rischio di compromettere l’autonomia di enti, formazioni sociali protette dall’art. 2 della Costituzione, che svolgono un essenziale ruolo istituzionale di garanzia senza incidere in alcun modo sugli equilibri dei bilanci pubblici.
Nella ferma consapevolezza della centralità della funzione consultiva e di analisi della Corte dei conti e della necessità di rafforzarne il ruolo di supporto e di indirizzo per i cittadini come per la pubblica amministrazione, con questi auspici, l’Avvocatura italiana formula gli auguri più sentiti di un anno giudiziario proficuo e operoso.