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CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Con l’ordinanza n. 22344/ 2024, la Corte di Cassazione ha chiarito i criteri per la determinazione del compenso dell’avvocato nei casi in cui il giudice deve pronunciarsi in via definitiva sulle questioni legate all’esistenza o alla validità di un rapporto giuridico.
La vicenda
Un avvocato, deceduto nel corso del procedimento, aveva prestato assistenza legale a due importanti società, una delle quali in fallimento. In primo grado, il Tribunale di Palermo aveva condannato una delle due imprese a pagare la somma di 195.933,40 euro per le prestazioni assicurate dal legale. La decisione del Giudice si basava su una valutazione complessiva dell’attività svolta dall’avvocato, ritenuta di notevole complessità e durata. Tuttavia, la Corte d’appello di Palermo aveva successivamente riformato la sentenza, riducendo l’importo a 77.487,00 euro, riconsiderando la natura delle prestazioni fornite dal legale, non ritenute configurabili come parasubordinate (come invece sostenuto dal Tribunale in primo grado). Tale revisione aveva portato alla conclusione che le tariffe applicabili dovessero essere quelle previste dal Dm 127/ 2004, specificamente relative all’assistenza per i contratti e alla consulenza in campo amministrativo.
Le contestazioni
Gli eredi dell’avvocato hanno presentato ricorso contro la sentenza d’appello, contestando principalmente due aspetti. Da un lato, hanno sostenuto che la Corte avesse applicato erroneamente le tariffe professionali previste dal Dm 127/ 2004, e dall’altro hanno contestato il metodo di calcolo del valore della causa. Secondo i ricorrenti, la Corte d’Appello avrebbe violato l’articolo 12 del codice di procedura civile, che stabilisce come il valore della causa relativa all’esistenza, validità o risoluzione di un rapporto giuridico debba essere determinato considerando l’intero complesso degli interessi regolati dall’accordo, e non limitandosi a un singolo anno, come invece fatto dalla Corte d’Appello.
La decisione
La Cassazione ha riconosciuto la fondatezza delle obiezioni sollevate dagli eredi dell’avvocato, affermando che la Corte d’Appello aveva effettivamente commesso un errore nel determinare il valore della causa. Secondo la Suprema corte, in casi come quello in esame, dove si discute dell’esistenza, validità o risoluzione di un rapporto giuridico, il valore della causa non può essere limitato a una singola annualità, ma deve riflettere l’intero arco temporale del rapporto e tutte le implicazioni economiche connesse.
Nella motivazione, Piazza Cavour ha fatto riferimento all’art. 12 c. p. c., il quale prevede che il valore delle cause riguardanti rapporti giuridici obbligatori debba essere determinato in base alla parte del rapporto che è in contestazione, prendendo però in considerazione l’intero complesso di interessi regolati dall’accordo. Questo implica che, nel caso specifico, il valore della causa avrebbe dovuto essere calcolato considerando non solo il canone annuale, ma l’intero periodo contrattuale e l’intero ammontare degli interessi in gioco. La Cassazione ha quindi cassato la sentenza e rinviato il caso a un collegio di Corte d’appello diversamente composto, per un nuovo esame.