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L’attivista iraniana per i diritti umani Nasrin Sotoudeh ha interrotto il suo sciopero della fame in carcere dopo quasi 50 giorni, di fronte ai crescenti timori per la sua salute. «Nasrin ha messo fine ieri allo sciopero della fame a causa delle sue condizioni critiche», ha twittato oggi il marito, Reza Khandan. La settimana scorsa Sotoudeh aveva trascorso cinque giorni in ospedale a causa di una insufficienza cardiaca, ma giovedì era stata riportata nella prigione di Evin a Teheran. Avvocato e attivista per i diritti della donna, la 57enne Sotudeh aveva iniziato lo sciopero della fame per protesta contro le condizioni dei prigionieri politici durante l’epidemia di coronavirus. Accusata di «propaganda sovversiva», l’attivista è stata condannata nel 2018 a 148 frustate e 33 anni e mezzo di carcere, di cui dovrà scontarne almeno 12. Sotoudeh, che assieme al marito è fra i principali attivisti iraniani per i diritti umani, si è sempre detta innocente, dicendo di aver soltanto manifestato pacificamente per i diritti delle donne e contro la pena di morte. Oltre a Sotoudeh, anche un altro prigioniero, Rezvaneh Ahmad Khan Beigi, ha interrotto lo sciopero della fame, anche lui per il deterioramento delle condizioni di salute. Quello per Sotoudeh è un pericolo concreto, denunciato anche da Bruno Malattia, noto per essere stato l’avvocato in Italia di Sakineh Mohammadi Ashtiani, l’iraniana condannata alla lapidazione che poi venne rilasciata dopo una forte mobilitazione internazionale. «Quello che a noi pare è che anche a livello di Unione Europea non si dedichi l’energia necessaria per risolvere il caso - ha dichiarato all’Adnkronos -. Bisogna che la politica estera dell’Ue sia molto più forte e meno timida nei confronti dell’Iran. È Inaccettabile che si lasci morire una donna insignita per giunta del Premio Sakharov» per i diritti umani, ha aggiunto, precisando che insieme a una squadra di avvocati e all’ong di Pordenone “Neda Day” sta preparando un dossier sui presunti abusi di Teheran da presentare al Parlamento europeo. «Con i tweet non si risolvono i problemi», ha dunque sottolineato, chiedendo azioni più incisive da parte delle autorità europee, a partire dall’imposizione di «sanzioni» contro Teheran. «Altrimenti - ha concluso - in situazioni come questa la posizione dell’Ue lascia il tempo che trova».