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La «imprescindibile funzione sociale» dell’avvocato, la sua «stretta, strettissima correlazione» con «il diritto di difesa garantito dall’articolo 24 della Costituzione» prevalgono decisamente sulle norme in materia di concorrenza. Anzi, la pretesa di considerare il difensore come una «impresa» non è sostenibile, alla luce dei principi costituzionali. Sono alcuni dei punti fermi ribaditi, con una doppia sentenza, dal Tar del Lazio, in particolare dalla terza sezione presieduta da Gabriella De Michele.
Le due decisioni ( la 11477 e la 11487, pubblicate lo scorso 2 ottobre, Achille Sinatra estensore) hanno respinto altrettanti ricorsi presentati da due gruppi di avvocati, in un caso aggregati dal Sindacato forense di Bari, contro le regole per l’accesso all’albo dei Cassazionisti, basate sui corsi della Scuola superiore dell’avvocatura, istituiti con bando del Cnf. Secondo i ricorrenti «ogni avvocato dovrebbe considerarsi “impresa”, ai fini dell’applicazione delle norme poste a presidio della concorrenza» ; e al Cnf sarebbe dunque applicabile «la legge n. 287 in materia di tutela della concorrenza».
Non è così, hanno spiegato i giudici amministrativi, ed è anzi necessario accertarsi che «l’avvocato sia dotato di solide basi di tutte le principali discipline giuridiche», senza «compartimenti stagni». È per questo che, secondo il Tar del Lazio, non è contestabile il sistema che prevede un esame di accesso alla Scuola superiore con prove vertenti su varie materie, così come sono irrinunciabili i requisiti, per essere ammessi a tale formazione superiore, quali l’aver svolto un’esperienza minima di patrocinio.
Una parte delle contestazioni aveva innescato addirittura un giudizio di legittimità costituzionale, relativo alle norme che avrebbero favorito avvocati di altri Paesi dell’Ue rispetto agli italiani. Una «discriminazione al contrario» che però la Consulta ha ritenuto, nella pronuncia 156 del 2018, superata dalla legge Europea del 2017, che obbliga anche gli avvocati provenienti da altri Stati europei a frequentare «lodevolmente e proficuamente la Scuola superiore, istituita e disciplinata con regolamento del Cnf».
Non potrebbe essere che la massima istituzione forense a regolare tale indispensabile passaggio formativo, anche tenuto conto dei «motivi di interesse pubblico» che attengono apppunto alla «correlazione» tra «professione forense» e «diritto di difesa». Già in passato, ricordano ancora i giudici, «è stato fatto riferimento» dallo stesso Tar del Lazio, «alla imprescindibile e fondamentale funzione sociale dell’avvocato, che la legge di riforma ha voluto sottolineare come orientata all’attuazione di principi costituzionali». E tale funzione dell’avvocato «giustifica pienamente che a presidio della professione forense vi sia un sistema pubblicistico associativo costituito dal Cnf e dagli Ordini forensi territoriali».