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La condanna della cultura dell’odio, il rammarico per l’abuso delle misure cautelari e l’irrazionalità punitiva, l’arbitrio e gli abusi. E poi il dovere di ripensare la pena dell’ergastolo, per carceri che devono sempre avere un orizzonte, per una giustizia che rispetti la dignità e i diritti umani. Sono parole rivoluzionarie quelle pronunciate ieri da Papa Francesco ai partecipanti al XX Congresso dell’Associazione internazionale di diritto penale. Un diritto che non è riuscito a preservarsi dalle minacce che incombono sulle democrazie, spesso a causa di una «divinizzazione del mercato» che esclude ed infierisce sui più deboli.
Gli ambiti toccati dal Papa sono tanti, nel tentativo di offrire ai giuristi un «aiuto». E la prima sfida è tentare di contenere «l’irrazionalità punitiva, che si manifesta in reclusioni di massa, affollamento e tortura nelle prigioni, arbitrio e abusi nelle forze di sicurezza», ma anche attraverso «l’abuso della reclusione preventiva e il ripudio delle più elementari garanzie penali e processuali». Rischi che sono estrema conseguenza di un idealismo penale che, però, ignora i macrodelitti dei poteri economici, responsabili del saccheggio delle risorse naturali del pianeta. Mettendo in guardia dalla corrente punitivista, Francesco ha affrontato la piaga, sempre più grave, degli abusi del potere sanzionatorio. A partire da un «uso arbitrario della carcerazione preventiva», per la quale il Papa si è detto preoccupato, considerato che in numerose nazioni e regioni «il numero di detenuti senza condanna già supera abbondantemente il 50% della popolazione carceraria. Questo fenomeno - ha aggiunto - contribuisce al deteriorarsi delle condizioni di detenzione ed è causa di un uso illecito delle forze di polizia e militari», arrivando a ledere il principio «per cui ogni imputato deve essere trattato come innocente» fino a condanna definitiva.
Ma è un discorso soprattutto politico quello di Francesco, che ha condannato l’incentivo alla violenza, frutto anche delle riforme sull’istituto della legittima difesa, che hanno consentito di «giustificare crimini commessi da forze di sicurezza come forme legittime del compimento del proprio dovere». È importante, dunque, un intervento della comunità giuridica, «per evitare che la demagogia punitiva degeneri in incentivo alla violenza». Condotte «inammissibili in uno Stato di diritto - ha ammonito - e che in genere accompagnano i pregiudizi razzisti e il disprezzo verso le fasce sociali di emarginazione». Ed è qui che si è innestato il discorso sulla cultura dell’odio, con la ricomparsa di emblemi e azioni tipici del nazismo. «Quando sento qualche discorso di qualche responsabile del governo mi vengono in mente i discorsi di Hitler nel ‘ 34 e nel ‘ 36» e «le sue persecuzioni contro gli ebrei, gli zingari, le persone di orientamento omosessuale», modello negativo per eccellenza «di cultura dello scarto e dell'odio».
Per il Pontefice «occorre vigilare» ed andare, dunque, verso una giustizia penale restaurativa. In ogni delitto c’è una parte lesa, ma compiere il male, ha ammonito, non giustifica altro male come risposta. «Si tratta di fare giustizia alla vittima, non di giustiziare l’aggressore», ha aggiunto. E le carceri, ha concluso, «devono guardare ad un reinserimento», motivo per cui «si deve pensare profondamente al modo di gestire un carcere, di seminare speranza di reinserimento» e «ripensare sul serio l’ergastolo», per un modello di giustizia basato sul dialogo e l’incontro, in grado di restaurare «i legami intaccati dal delitto».
Parole che hanno colpito i penalisti, ammirati ed entusiasti per il discorso del Pontefice, e che «sono pienamente in sintonia con quanto le Camere penali denunciano da decenni in ordine all’abuso della custodia cautelare e alle sue ricadute sui livelli di civiltà del nostro paese», ha affermato il presidente dell’Unione delle Camere penali, Gian Domenico Caiazza. «C’è da riflettere amaramente sul fatto che sia necessario una denuncia del Pontefice per mobilitare le coscienze - ha aggiunto - mentre la politica ha del tutto rinunciato al suo ruolo di custode dei valori costituzionali».