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IMAGOECONOMICA
Chiamatele avvocate, notaie, dottoresse se commercialiste. Sempre al femminile e mai “Signore” quando sono in studio, in tribunale o ad un convegno. Pagatele quanto meritano, lasciate loro aperta la strada ai vertici, dentro le istituzioni, in tutte le materie. Non permettete che debbano lavorare il doppio per dimostrare il proprio valore: o non sarà davvero parità di genere. Come sembra non essere in Italia, che si piazza all’87esimo posto su 146 nel Global Gender Gap Report del 2024, seguita in Europa solo da Ungheria e Repubblica Ceca.
Da questo dato partono le riflessioni dell’Osservatorio sulle pari opportunità nelle professioni ordinistiche, promotore della prima ricerca psicosociale inter-ordinistica nazionale sul gender gap che sarà presentata domani mattina a Roma. L’evento è organizzato dai rispettivi Consigli nazionali dell’avvocatura, del notariato e dei commercialisti in collaborazione con la Fondazione Adriano Ossicini del Consiglio Nazionale Ordine Psicologi, che ha attivato l’Osservatorio nel 2023. Si svolgerà presso l’Istituto dell’Enciclopedia italiana Treccani dalle 9 alle 13 con una tavola rotonda a cui prenderanno parte i vertici e le rappresentanti delle tre categorie economico-giuridiche.
Saranno loro a restituire il quadro delle singole professioni, dopo che la psicologa e presidente della Fondazione Ossicini Elisabetta Camussi avrà illustrato i risultati dello studio. Un questionario anonimo autosomministrato a cui hanno risposto complessivamente oltre 7.500 iscritte e iscritti agli Ordini aderenti, soprattutto dal Nord, con una netta prevalenza femminile. «Il senso di questa ricerca è misurare la percezione delle pari opportunità che uomini e donne hanno all’interno dei singoli ordini - spiega Camussi -. In generale, emerge una maggiore consapevolezza da parte delle donne rispetto al fatto che non sono ancora garantite in maniera adeguata. Anche laddove ci sono garanzie sull’accesso alla professione, ad esempio, non ce ne sono altrettante nei percorsi di carriera, nei ruoli apicali e nel reddito. D’altronde, i dati sulle asimmetrie tra i generi all’interno dei diversi ordini professionali non sono distanti da quelli che troviamo a livello nazionale. Queste ricerche servono a fotografare una realtà perché su questa si possa intervenire in maniera più specifica, individuando gli ostacoli e accelerando il cambiamento. L’equità non è solamente un principio etico: è una garanzia di benessere dal punto di vista dell’esperienza dei singoli e della società, mentre le disuguaglianze sono un predittore statistico di disagio psicologico».
In questo quadro le norme fanno la loro parte, con la legge sulla certificazione di Parità di genere, i fondi PNRR, e l’Agenda Europa 2030. Ma nei fatti bisogna ancora investire nella formazione: secondo le stime per una reale equità tra i generi occorrerebbero ancora 150 anni. In tutte le professioni ricorrono gli stessi ostacoli e pregiudizi di genere, con qualche particolarità che contraddistingue ciascuna categoria. L’avvocatura fa i conti con i dati del Rapporto annuale Censis-Cassa Forense: nel 2021 i redditi medi delle donne erano meno della metà di quelli dei colleghi maschi. Nel 2022 lo scarto è di oltre 30mila euro a discapito delle professioniste. Gli incrementi più significativi, per le avvocate, si registrano nella fascia tra i 35-39 e 40-44 anni, età oltre la quale i redditi restano sotto la media.
Insomma, il gap è certificato. E infatti «le avvocate dimostrano di essere le più consapevoli nell’ambito delle professioni economico-giuridiche. E questo è un fattore fondamentale», spiega Lucia Secchi Tarugi, componente nel Consiglio nazionale forense e coordinatrice della Commissione pari opportunità. «Ma sul gap reddituale, emergono risposte contraddittorie. Probabilmente le donne non si rendono conto di avere grandi capacità e competenze. Che non sono solo professionali, ma di empatia e cura, e comportano grande dispendio di tempo. E il tempo è denaro».
Diverso il quadro per il notariato, che dal 2021 è dotato di una Commissione nazionale per le pari opportunità senza articolazioni territoriali. «Noi non abbiamo un problema di accesso alla professione, che avviene tramite un concorso pubblico, e ormai sta diventando quasi paritario. Al momento le donne sono il 40 per cento e sono in aumento nei nuovi concorsi - spiega Alessandra Mascellaro, consigliera nazionale del notariato con delega alle pari opportunità -. Abbiamo però un problema in tema di rappresentanza, che è sentito all’interno della categoria, perché i dati di accesso alle cariche apicali non sono particolarmente confortanti: abbiamo avuto una presidente nazionale donna solo nell’anno 2021. In questo momento in Consiglio nazionale ci sono solo tre donne su 20, e su tutti i distretti notarili d’Italia le presidenti donna sono il 27,47%».
Ivana De Michele, componente del Cpo Nazionale dell’Ordine Dottori commercialisti ed esperti contabili mette al centro invece il tema della conciliazione tra vita privata e lavoro e il gap salariale. «Nella fascia 40-50 anni le colleghe guadagnano il 46% in meno degli uomini - spiega -. Ho molte colleghe che si vergognano a chiedere le parcelle e a parlare di soldi». Inoltre, sottolinea De Michele, nella professione emerge una “segregazione verticale”, perché nei ruoli apicali le donne sono quasi esclusivamente nei comitati pari opportunità, istituiti nel 2021: «Su 121 ordini territoriali, i Presidenti del Consiglio maschi sono l’86% e le donne il 14%, mentre nei Cpo avviene l’esatto contrario».