All’evento G7 sul diritto all’acqua, il presidente del Cnf Andrea Mascherin ha affermato che «la Natura deve divenire soggetto titolare di diritti, fine e non mezzo» e ha illustrato un progetto imperniato sulle “5 p” di «promozione, protezione, prevenzione, partecipazione, prossimità».

Il riconoscimento concreto del diritto all’acqua è un obiettivo imprescindibile del prossimo futuro. Siamo determinati a perseguirlo. Gli Accordi internazionali, le Risoluzioni, i Trattati esprimono la visione politica dei paesi che li approvano. La legislazione internazionale talvolta è incerta, poiché nasce dal rapporto di forze tra soggetti di varia natura e con diverso orientamento. Cosicché l’attuale legislazione ambientale si fonda su una visione essenzialmente antropocentrica ed economica, che si contrappone a un approccio ecocentrico, con al centro cioè i diritti della natura.

LA NUOVA GENERAZIONE DEI DIRITTI

Il carico antropico crescente, l’impatto dell’azione umana sul pianeta e l’ipersfruttamento delle risorse impongono una riflessione sulla compatibilità delle soluzioni adottate sino ad ora con la sopravvivenza della specie umana sul pianeta. La difesa dei diritti dell’uomo è divenuta, nella modernità, la difesa dei diritti della natura. Il pianeta sopporterà l’uomo se l’uomo sopporterà di rinunciare alla propria supremazia sull’ambiente. Una produzione normativa chiara, che guardi oltre, che si ponga a garanzia di una visione ecosistemica, deve fondarsi sulle antiche conoscenze, tradotte sino all’attualità dalle popolazioni indigene, piuttosto che sulle esperienze maturate dai Movimenti popolari. Una svolta epocale, che stravolge radicalmente il modo di proporre soluzioni, che pone in campo nuovi interlocutori e i valori di cui sono portatori. Una nuova visione per una nuova generazione di diritti nella quale gli elementi della natura sono soggetti del diritto e non semplicemente risorse al servizio dell’uomo. Da qui il ruolo centrale dei Governi, la cui azione politica dovrà essere orientata in via prioritaria alla tutela, all’applicazione e al loro riconoscimento di tali diritti.

Il collasso dei sistemi ambientali su scala globale e la fragilità delle città, la carenza di acqua e di cibo sono dovuti in buona parte all’azione dell’uomo. Da sempre la scarsità genera nelle comunità una corsa all’accaparramento, che minando la pace impone una crescita militarizzata, legittimata da una legislazione internazionale di diritto primitivo. Bisogna invertire la tendenza. Dobbiamo superare il paradigma secondo il quale per avere progresso e sviluppo è necessario sacrificare l’ambiente e le persone. Come scrive Vandana Shiva: «Se la rispettiamo, la Terra provvederà ai nostri bisogni. Se restituiamo al terreno abbastanza nutrimento sotto forma di materia organica, il suolo diventerà più fertile. Se immettiamo più acqua nel ciclo idrologico, avremo più acqua nei pozzi e nei fiumi per soddisfare i nostri bisogni. Se la nostra specie vuole sopravvivere dobbiamo fare pace con la Terra e creare delle comunità per proteggerla. I diritti della Terra includono anche i diritti degli esseri umani derivanti da Madre Terra, cioè il diritto all’acqua e al cibo, alla salute e a un ambiente sano, il diritto ai beni comuni». Fiumi, laghi, sorgenti, falde, sementi, biodiversità, atmosfera. Le Costituzioni dei paesi devono contemplare i diritti della Natura, i Governi devono esserne i garanti. «Riconoscere i diritti della Terra contribuisce anche a riconoscere i diritti delle culture e delle comunità che hanno sempre rispettato la Terra, come le tribù indigene e le comunità prevalentemente femminili. Riconoscere il diritto della Terra significa riconoscere i diritti delle donne, del loro sapere, della loro creatività, del loro lavoro nell’economia della natura e in quella del sostentamento. Riconoscere i diritti della Terra significa anche riconoscere i diritti delle generazioni future, perché la continuità della vita nella natura è alla base delle continuità della vita umana». La consapevolezza maturata è l’occasione per un cambiamento culturale, che trasformi la logica della competizione in un processo di cooperazione, modificando le dinamiche di prevaricazione in percorsi d’inclusione, che guardano alla terra e all’uomo.

LA RISOLUZIONE SUL DIRITTO ALL’ACQUA

Ma le nuove visioni sono il frutto di un lungo lavoro, di un processo evolutivo, di passi in avanti che possiamo intravedere nel futuro. Allo stato è necessario sviluppare un impegno su più piani: dare seguito alle azioni avviate, quale l’Agenda 2030, con particolare riferimento al riconoscimento sostanziale del diritto umano all’acqua, e porre le basi conoscitive per la rivoluzione culturale auspicata. Il 28 luglio del 2010 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha riconosciuto l’acqua come diritto umano. La Risoluzione è un atto di soft law, pertanto privo di efficacia vincolante, ma è anche un passo politico particolarmente significativo. La Risoluzione ha avuto un periodo di lunga gestazione iniziata con la Dichiarazione universale dei diritti umani nel 1948, che all’articolo 25 contiene un riferimento implicito all’acqua laddove recita che «ogni individuo ha diritto a un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia». Un analogo riferimento implicito appare a distanza di quasi vent’anni nell’International Covenant on Economic, Social e Cultural Right del 1966. Ma è dagli anni 70 che si inizia a elaborare la categoria dei “diritti di terza generazione”. È il 1977 l’anno in cui la Conferenza delle Nazioni Unite di Mar del Plata, in Argentina, si occupa dei problemi relativi alle risorse idriche. Nel 1992 la Conferenza sull’acqua e l’ambiente di Dublino riconosce il diritto all’acqua, ma, mediando sul significato, attribuisce valore economico alla risorsa quando afferma che deve essere venduta a un prezzo accessibile.

Dagli anni 2000 il dibattito si fa più acceso. Mentre si rafforza l’idea della necessità di riconoscere il diritto all’acqua, il 5° World Water Forum, conferenza in cui la voce delle multinazionali del settore idrico e della Banca Mondiale ha un ruolo centrale, definisce l’acqua un “bisogno” ovvero una merce, un bene da assoggettare alle regole di mercato. Nel luglio del 2010 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite adotta la Risoluzione 64/ 92, che riconosce l’accesso ad un’acqua sicura e pulita e all’igiene come diritto umano. Ma il dibattito sul riconoscimento del Diritto all’acqua sul piano sostanziale, oltre che formale, è tutt’altro che superato. La Risoluzione è stata approvata con 122 voti favorevoli, nessun contrario e 41 astenuti. Il dato più rilevante è che tra i paesi che hanno approvato la decisione troviamo essenzialmente i paesi impoveriti. Gli astenuti, invece, sono la maggior parte dei paesi geograficamente europei o politicamente affini,

L’AGENDA 2030

Lasciano ben sperare i passi in avanti compiuti successivamente dalle Nazioni Unite, nel corso del 2013, quando la terza Commissione ha approvato all’unanimità un documento da sottoporre all’Assemblea Generale per riaffermare la risoluzione del 2010, nonché l’Agenda degli Obiettivi sostenibili post 2015 che prevede per la prima volta la concretizzazione del diritto umano all’acqua e ai servizi igienico- sanitari. Bisogna dar seguito alle azioni programmate per fronteggiare l’impatto dei cambiamenti climatici e garantire un’equa distribuzione della risorsa. La scarsità d’acqua dolce sul pianeta è strettamente connessa, oltre che ai fattori naturali, all’elevato utilizzo umano nel settore agricolo, per gli usi civili e nell’industria. Entro il 2030 bisognerà far fronte ad una carenza idrica del 40%. Lo si potrà fare migliorando l’efficienza nell’utilizzo dell’acqua e individuando fonti alternative. Ma l’emergenza è già di 1,8 miliardi di persone, che non hanno accesso affidabile ad acqua di buona qualità e 1 miliardo d’individui, che è privo di servizi igienici. Bisogna intervenire subito. Siamo determinati. Gli obiettivi dell’Agenda 2030 sono chiari e vanno attuati con azioni concrete, che mirino a garantire le necessità delle generazioni presenti e future, che valorizzino e sostengano un uso diffuso delle tecnologie compatibilmente con gli equilibri della natura, che puntino alla pace tra i popoli. Da qui la necessità di tracciare, in linea con gli obiettivi dell’Agenda, un percorso da seguire, che garantisca il diritto all’acqua attraverso la promozione, la protezione, la prevenzione, la partecipazione e la prossimità.

LE CINQUE “P”

Promozione: perché bisogna conoscere il sacrificio delle donne portatrici d’acqua, per comprendere che la disponibilità d’acqua è una condizione di sopravvivenza. L’acqua è un diritto e il costo va sostenuto con l’impegno d’un Partenariato Pubblico; l’acqua non può avere un prezzo, i diritti non si comprano. È immorale imporre nei paesi impoveriti l’uso insostenibile di schede prepagate, per accedere alla fontanina del villaggio. Genera disperazione. Bisogna sviluppare nuovi modelli di partenariato/ alleanza tra pubblico e privato, laddove il privato deve impegnarsi sulla ricerca di soluzioni, di tecnologiche e di rimedi ponendosi al servizio dell’uomo reinterpretando la funzione dell’impresa; l’impegno per la tutela, per l’efficientamento e per l’affidabilità dell’acqua impongono un progresso nelle conoscenze scientifiche e la produzione delle sue applicazioni.

Gli avvocati, quali difensori dei diritti, devono impegnarsi in azioni concrete di tutela dei più deboli e nella diffusione della conoscenza. Gli avvocati sono interpreti necessari per la promozione e lo sviluppo di relazioni ai tavoli, che devono favorire la costruzione d’un equilibrio tra gli attori dei diversi ambiti.

Protezione: perché il furto, l’inquinamento, il bioterrorismo sono atti e crimini dai quali difendere l’acqua con le soluzioni strutturali possibili con l’impiego di moderne tecnologie. La costruzione delle dighe deve essere limitata e la gestione di quelle esistenti deve essere rivista imponendo alle popolazioni a monte di garantire risorse idriche alle popolazioni a valle, affinché l’acqua non diventi occasione di conflitto, ma sia fonte di pace. Si batteva per questo Berta Càceres, uccisa nel 2016 per il suo impegno a tutela dell’ambiente e dei diritti umani. Per queste ragioni, i paesi devono programmare Strategie energetiche sostenibili e sicure riscrivendo le regole del settore, col coinvolgimento di tutti gli attori dei processi.

Le legislazioni, da calibrare scientificamente, impongono una centralità del ruolo dell’avvocatura, che deve rendere disponibili le sue migliori professionalità. Gli avvocati devono dare il proprio contributo, poiché bisogna approvare norme, che diano certezze di lungo periodo fornendo linee di sviluppo energetico e idrico chiare per il futuro dei Paesi. La temporaneità delle norme è causa di gravi inefficienze e incertezze negli operatori, che vanno sostenuti con legislazioni, che guardino lontano e siano portatrici di una visione che garantisca l’efficacia, l’efficienza e la sostenibilità ambientale, nonché sociale, dell’azione.

Prevenzione: perché è necessario programmare una continuità nella disponibilità delle risorse idriche, per assicurare la qualità della vita di ognuno e la maggior tutela delle donne e delle bambine, che sono più vulnerabili. L’uomo può gestire il rapporto con la natura imitandola e collaborando con essa. I servizi igienici vanno sostituiti o realizzati con soluzioni, che consentano il recupero del materiale organico e evitino l’uso dell’acqua. Le tecnologie per la depurazione devono lasciare il passo a sistemi di riciclo dei reflui destinandoli al nutrimento della terra. Il bilancio idrico può essere migliorato con l’efficientamento e la realizzazione diffusa di nuove soluzioni, che riducano la pressione dei prelievi dalle fonti. I distilatori solari usano energia rinnovabile, per prelevare acqua marina, farla evaporare e restituirla per i terreni agricoli sotto forma di acqua distillata; lo stesso percorso che fa la pioggia.

Dobbiamo assicurare attraverso la creazione di una rete di protezione civile internazionale dedicata all’acqua la disponibilità della risorsa anche in caso calamità naturali come terremoti, alluvioni, eruzioni e maremoti, per garantire la sopravvivenza dei superstiti nell’immediato e nei periodi successivi, finché non sia rientrata l’emergenza. L’avvocatura è essenziale nella costruzione normativa della nuova visione. La legislazione ambientale dei Paesi, salvo casi, tende alla frammentazione dell’ecosistema per settore e non riesce a soddisfare la necessità di disciplinare i rapporti con un bene che è unico per natura, generando criticità applicative. La revisione delle normative ambientali impone il coinvolgimento degli avvocati, che per struttura e contiguità sono in grado di leggere la concretezza della realtà sulla quale disegnare e farvi aderire una “nuova generazione dei diritti” ambientali.

Partecipazione: perché, come diceva l’ex segretario dell’Onu Ban ki- Moon «la capacità di ciascun cittadino di esprimere e far valere la propria opinione sull’operato dei governi rappresenta l’anima stessa della democrazia». Sull’intero pianeta sono nati Movimenti popolari a tutela dell’ambiente e dei diritti fondamentali, a partire dal diritto all’acqua, che hanno maturato esperienze e conoscenze delle quali sino ad ora s’è fatto a meno fallendo in molti obiettivi. Bisogna condividere i percorsi. I Forum alternativi dei Movimenti per l’Acqua ne sono l’occasione. Gli avvocati sono per vocazione e funzione sociale dei mediatori tra le parti. E per vocazione sono storicamente in prima linea nei percorsi di rinnovamento, di cambiamento e trasformazione delle relazioni degli attori sociali. La mediazione favorisce la pace e redime i conflitti in atto. Il ruolo degli avvocati è essenziale quando le soluzioni condivise vanno affiancate da un sistema di norme, che disciplinino e riorganizzino. E gli avvocati devono condividere la guida dei processi a garanzia del perseguimento degli obiettivi.

Prossimità: perché la cura dell’acqua è propria delle comunità. Bisogna valorizzare la conoscenza indigena, che si fonda su un sistema di valori, che conferisce un ruolo particolare alla tutela delle risorse naturali e della biodiversità. Bisogna rafforzare il ruolo degli enti locali, più vicini alle persone e capaci di comprenderne le necessità. Riprendendo le parole dell’avvocato ambientalista Cormac Cullinan «la rarefazione dei luoghi di socializzazione in molte aree urbane frappone ostacoli all’accesso dei cittadini organizzati ai processi decisionali, la costruzione, per ogni azione pubblica, di spazi di pubblico confronto […] vanno nella direzione di ridurre l’ineguaglianza» . Gli avvocati devono elaborare soluzioni giuridiche moderne, che riconoscano il valore dell’ascolto, e rendersi parte attiva nella costruzione dei luoghi, ponendosi come interpreti del pensiero delle comunità colmando il vuoto determinato dalla debolezza o l’inesistenza dei corpi intermedi. Bisogna tornare a guardare da vicino, per comprende che l’acqua non può essere occasione di speculazione, ma fonte di vita e di pace.