Il 6 dicembre, a Roma, il Consiglio nazionale forense celebrerà i 150 della fondazione degli Ordini degli avvocati, avvenuta con la legge n. 1938 del 1874. Un appuntamento importante per fare il punto sul presente e sul futuro della professione forense, senza dimenticare le proprie origini.

«Il nostro intento – ha evidenziato sul Dubbio il presidente del Cnf, Francesco Greco - è quello di riflettere sulla storia dell’avvocatura italiana in occasione dei suoi centocinquant’anni di vita come istituzione, ripercorrendo le tappe significative. In questo ultimo secolo e mezzo l’avvocatura ha svolto un ruolo importante, a partire dal sistema di tutela dei diritti. Senza tralasciare il contributo offerto per la crescita dell’Italia. Ecco perché ricorderemo e ripercorreremo con le colleghe e i colleghi di tutta Italia e altri illustri ospiti quello che gli avvocati hanno fatto anche come servitori dello Stato. Noi avvocati, mi piace rimarcarlo, siamo servitori dello Stato. Lo siamo nel momento in cui mettiamo a disposizione la nostra opera professionale a favore dei cittadini, nel momento in cui lavoriamo per l’affermazione dei principi su cui si fonda lo Stato di diritto».

La creazione dell’Ordine degli avvocati e dei procuratori ha portato a conclusione un dibattito giuridico e politico avviato prima della proclamazione del Regno d’Italia, che nasceva dalla necessità di uniformare in tutto il Paese la disciplina delle professioni forensi. Il legislatore del tempo si ispirò a diversi modelli. Primo fra tutti quello francese, affermatosi durante il periodo napoleonico, al quale si affiancò il modello degli ordinamenti di diritto comune, delle corporazioni di mestieri.

L’autonomia professionale, per garantire i diritti dei cittadini anche nei confronti dello Stato, divenne presto una esigenza molto sentita e rappresentò una prima base sulla quale poggiare le fondamenta della legge istitutiva degli Ordini forensi. Il modello francese di ispirazione napoleonica, che traeva origine dal diritto romano, verteva sulla distinzione tra “avvocati” e “procuratori”.

I primi, considerati molto autorevoli nella società del tempo - una sorta di élite -, affrontavano le questioni giuridiche e consigliavano le parti, senza tuttavia rappresentarle. I “procuratori”, invece, rappresentavano le parti nei processi. La regolamentazione riguardante le professioni di avvocato e procuratore fu sempre maggiore a partire dal XVIII secolo nei vari ordinamenti della Penisola con un legame stretto, nel Regno di Sardegna, con la magistratura. A quest’ultima erano affidate varie forme di controllo in assenza di una organizzazione autonoma dell’avvocatura. Fu sicuramente tale aspetto a rafforzare l’esigenza per le due corporazioni di dotarsi di un nuovo assetto in grado di preservare l’autorevolezza e la credibilità della professione.

La frammentazione normativa degli Stati pre-unitari rese, però, il percorso lento e poco agevole. Per esempio, l’ordinamento del Regno di Sardegna, via via esteso a tutto il Paese, verteva sulla posizione di subordinazione degli avvocati piemontesi nei confronti della magistratura.

L’anno di svolta fu il 1874, anticipato da un iter legislativo iniziato otto anni prima. Il ministro della Giustizia dell’epoca, Giovanni De Falco – fine giurista originario di Bracigliano, in provincia di Salerno -, presentò il primo progetto di legge al Senato nel marzo 1866. Con il susseguirsi delle legislature la discussione parlamentare non riuscì in tempi rapidi a tagliare il traguardo. Le norme sulle professioni di avvocato e procuratore vennero incluse in un corpo omogeneo nel 1874. Un anno che, dunque, segnò, l’inizio di una nuova epoca per l’avvocatura italiana.

Il ministro De Falco diede una impostazione chiara al suo progetto di legge: distinguere le professioni di avvocato e di procuratore, senza che si potessero cumulare le due funzioni. Un’idea, ben descritta dallo stesso De Falco, che partiva dalla necessità di connotare tanto l’avvocato quanto il procuratore da una precisa provenienza e identità per svolgere al meglio la professione: «Al primo (l’avvocato, ndr) spettano le ragioni superiori del diritto, lo studio e la teoria dei principii, la direzione nel sistema e l’eloquenza dell’oratore nella difesa della causa; al secondo (il procuratore, ndr) incombono le ricerche pazienti dei fatti e dei documenti, l’esattezza nei dettagli e nella procedura, il colpo d’esecuzione degli atti di occhio sicuro e pronto nei casi urgenti. Lavoro scientifico l’uno, pratico l’altro. Il giureconsulto non potrebbe piegarsi a sostenere convenientemente la seconda parte, senza venir meno alla sua principale missione; ed il procuratore, impacciato com’è di continuo dalle esigenze minute che si intrecciano nella tela del procedimento, mal risponderebbe al bisogno di lunghe e severe meditazioni scientifiche».

Asse portante del lavoro di Giovanni De Falco fu la creazione dell’Ordine degli avvocati. «L’esercizio della stessa professione – si legge nel progetto di legge -, i rapporti continui e necessari nei quali gli avvocati sono fra loro, costituiscono una specie di legame che li obbliga tutti a custodire in ciascun componente la dignità dell’Ordine, a riunirsi, a scegliersi una rappresentanza e a darsi un capo: depositari dei più grandi interessi e dei più importanti segreti delle famiglie, eredi di nobilissime tradizioni, gli avvocati sentirono il bisogno di imporsi da se stessi una disciplina, sanzionata poscia dalle stesse leggi, per la quale è assicurato l’adempimento dei doveri inerenti al nobile ministero ed è tutelato il decoro di tutta quanta la corporazione».

La legge n. 1938 dell’8 giugno 1874, con l’istituzione definitiva dell’Ordine degli avvocati e dei procuratori, ha scritto una pagina di storia del nostro Paese, che è anche storia dell’avvocatura italiana al centro delle celebrazioni del Cnf il prossimo 6 dicembre.