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Dopo la tragedia di Varese dovremo aspettare ancora, per una riforma della magistratura?
L’apporto degli avvocati che hanno abbandonato la toga, dopo aver vinto un concorso nella amministrazione della giustizia, potrebbe cambiare il volto della PA. La fuga dall’avvocatura se da un lato è la conseguenza di tante difficoltà che affrontano i legali dall’altro dovrebbe alzare il livello delle competenze e professionalità negli uffici pubblici. Siamo riusciti ad entrare in contatto con una ex avvocata, quasi toga d’argento, da poco vincitrice di concorso ed assegnata neppure un mese fa ad un importante Tribunale. La chiameremo Letizia per non metterla in difficoltà, considerato il ruolo importante che ricopre.
Una nuova vita professionale, dopo aver indossato la toga. Di cosa occupa adesso?
Dirigo uno degli Uffici del Tribunale in cui sono impiegata. Si tratta dell’unico ufficio dove ancora sopravvive la nobile funzione notarile del cancelliere. Difatti nonostante l’avvento del processo telematico, che ci ha consentito di ottenere copie esecutive telematiche dei provvedimenti giudiziari, firmati digitalmente dai funzionari di cancelleria, nel mio ufficio, il cancelliere, come accadeva nell’ 800 riceve il cittadino, lo identifica e attesta di ricevere le sue dichiarazioni di rinuncia o di accettazione di eredità, facendosi apporre in presenza le sottoscrizioni e apponendo la sua firma. Un servizio essenziale che lo Stato mette a disposizione dei cittadini a fronte del solo pagamento delle tasse e dei bolli.
Meno tribolazioni e meno ansie dopo anni nell’avvocatura? È più felice adesso che è una dipendente del ministero della Giustizia?
Sono sempre stata felice di adempiere al mio compito. È troppo presto per fare un bilancio di questo nuovo incarico dirigenziale. Gli uffici ci sono state assegnati a fine luglio, dopo un intenso corso di formazione in tutte le sezioni penali, civili ed amministrative di uno dei Tribunali più grandi in Italia. Le tribolazioni sono comuni ad ogni lavoro, confido di saperle affrontare al meglio.
Cosa ricorda con più piacere della sua precedente esperienza da avvocata?
Ho avuto la fortuna di svolgere per ben venticinque anni la professione che desideravo fare. Quest’anno mi avrebbero consegnato la toga d’argento e confesso che mi rattrista l’idea di non partecipare a quella cerimonia, visto anche l’impegno socio giuridico associativo che mi ha sempre vista in prima linea a favore dei deboli. Ma mi ero appassionata anche durante le precedenti esperienze di collaborazione e consulenza per la pubblica amministrazione. Io non ho ricordi da avvocato, io ho introiettato un modo di lavorare, pensare, studiare, assistere e difendere da avvocato che è ancora dentro di me. Benché la Costituzione non indichi l’avvocatura tra i “servitori dello Stato”, io mi sono sempre sentita al servizio dello Stato, ossia dei diritti dei cittadini. Sostanzialmente non è cambiato nulla. Anche oggi agisco, dirigo, organizzo un servizio a tutela del cittadino.
Il ricordo invece meno piacevole di quando indossava la toga?
Molte delle battaglie giuridiche e delle cause che ho patrocinato si sono concluse con successo. Ho indossato la toga con e per passione. Con lo stesso entusiasmo mi sto dedicando a questa nuova esperienza giuridica, perché mi piace sperimentare nuove dimensioni professionali. Il rapporto con i colleghi e con la magistratura è sempre stato ottimo, mentre negli ultimi sette anni è il rapporto con i clienti che è cambiato. Non mi riferisco alla difficolta di “far onorare le parcelle”, ma alla difficoltà di “rendere onore” alla funzione ed alla complessità delle attività che l’avvocato esplica per il cliente.
Pensa che ci sarà una fuga dall’avvocatura con i prossimi concorsi?
La maggior parte di vincitori del mio concorso sono avvocati. Non uso il verbo erano, perché sarebbe ingiusto negare ai neodirettori identità e ricchezza professionale. Auspico che anche altri avvocati superino brillantemente dei concorsi pubblici. Non parlerei di “fuga” dall’avvocatura, ma di cambio di direzionalità di competenze.
Il presidente del Coa di Roma, Antonino Galletti, ha evidenziato il valore aggiunto apportato negli uffici giudiziari dagli ex avvocati vincitori di concorso. Cosa ne pensa?
Il Presidente Galletti, da buon amministrativista ha sempre avuto una visione positiva della pubblica amministrazione. L’immaginario collettivo vede i dipendenti pubblici come “indolenti stipendiati”. In realtà la giustizia con la “G” maiuscola deve molto alla competenza ed all’impegno dei dipendenti amministrativi. Non solo Galletti, ma anche i magistrati sono convinti che la formazione forense sia un plus per la gestione della giustizia. Siamo stati accolti come delle vere ed autentiche “risorse” e con l’auspicio di introdurre buone prassi e trovare soluzioni tempestive, nonostante la carenza cronica di personale.
Sarete d’aiuto ai vostri ex colleghi conoscendone l’impostazione del lavoro e le esigenze?
Saremo di aiuto ai cittadini. Gli avvocati sono lo strumento a cui il cittadino si affida per azionare i suoi diritti.
Anche nella PA, come nell’avvocatura la declinazione al femminile della macchina giustizia è sempre più marcata. Quasi tutti i posti dirigenziali sono ricoperte da donne?
È proprio così. I posti di vertice ricoperti dalle donne aumentano. Non sono mancati casi di dirigenti donne insediatisi in pieno lockdown, riuscendo, ovviamente con l’aiuto di avvocatura e magistratura, a velocizzare la dematerializzazione degli atti ed i depositi telematici. Mi piace pensare che anche il Coronavirus abbia contagiato la giustizia con la virtù femminile della temperanza, simbolo di rigenerazione ed innovazione, oltre che della diffusione del sapere.