Gli staff legali dei repubblicani e dei democratici si preparano a presentare una serie di ricorsi per contestare l’esito del voto delle elezioni presidenziali statunitensi in caso di sconfitta del partito di riferimento. Il testa a testa tra Donald Trump e Kamala Harris potrebbe essere deciso dall’intervento degli avvocati, che in questa competizione elettorale potrebbero essere determinanti per l’elezione del 47esimo presidente degli Stati Uniti.

In molti studi legali di Washington, New York, Chicago, San Francisco e Los Angeles il lavoro è frenetico in queste ore: i sondaggi sono stati messi da parte, mentre si monitorano le operazioni elettorali già avviate nei giorni scorsi e si leggono con attenzione i report dei rappresentanti dei due partiti che seguono di persona l’afflusso alle urne.
Tra gli avvocati più agguerriti troviamo Stephen Miller, ex assistente legale di Trump ai tempi della Casa Bianca, alla guida di America first legal (Afl), organizzazione che mutua sotto diversi aspetti, a partire dagli slogan e dal linguaggio lo stile del tycoon. Miller è un convinto sostenitore della «difesa della vera uguaglianza davanti alla legge, dei confini nazionali e della sovranità, della libertà di parola e di religione, della sacralità della vita, della centralità della famiglia e della intramontabile eredità legale e costituzionale degli Stati Uniti».

Pochi giorni Afl ha ottenuto un significativo risultato in vista del definitivo conteggio dei voti in uno dei sette Stati in bilico, l’Arizona, determinanti per l’elezione del nuovo presidente. Una delle maggiori preoccupazioni di America first legal è la scarsa trasparenza relativa al numero e alla generalità degli elettori. In Arizona il ricorso dell’organizzazione dei legali repubblicani è stato accolto. Al Segretario di Stato dell’Arizona, Adrian Fontes, è stato ordinato di produrre immediatamente l’elenco delle persone che si sono registrate per votare, senza che in precedenza avessero fornito la prova di essere cittadini statunitensi, così come richiesto dalla legge.

Sono quasi 220 mila gli elettori interessati. Fontes si è difeso sostenendo che a causa di un problema informatico circa 218.000 elettori si sono registrati per votare senza fornire la prova della cittadinanza, nonostante la legge dell'Arizona richieda questo requisito. America first legal ha agito per conto della “Strong Communities Foundation of Arizona”, la quale, ottenuta la sentenza favorevole, ha voluto mobilitare i propri rappresentanti di lista per effettuare le verifiche sul requisito della cittadinanza degli elettori.

James Rogers, avvocato di Afl, ha criticato il Segretario di Stato dell’Arizona, facendo riferimento a un tema caro a Trump in campagna elettorale, vale a dire quello della scarsa affidabilità di alcuni funzionari che remerebbero contro i repubblicani. «La maggioranza degli abitanti dell’Arizona – ha detto Rogers - non si fida più del sistema elettorale del nostro Stato. Uno dei motivi è la mancanza di trasparenza da parte dei funzionari statali. Quando il Segretario Fontes ha scoperto il problema che ha permesso a 218.000 individui di registrarsi, senza fornire la prova della cittadinanza, avrebbe dovuto condividere subito l’elenco delle persone interessate con tutti i rappresentanti che sono incaricati di verificare la cittadinanza degli elettori. Invece, ha gelosamente custodito l’elenco, rifiutandosi di condividerlo».

Nella competizione elettorale statunitense, con lo scontro senza esclusione di colpi tra Donald Trump e Kamala Harris, si sta consumando una battaglia tra opposti schieramenti di legali. Avvocati contro avvocati. L’organizzazione non-profit “The 65 Project” prende il nome dalle 65 cause intentate senza successo dagli avvocati di Trump per contestare l’elezione alla Casa Bianca di Joe Biden nel 2020 e ha come singolare mission quella di «dissuadere gli avvocati dal presentare false dichiarazioni elettorali».

Due mesi fa, come ha rilevato la Reuters, il gruppo si è impegnato ad investire 100 mila dollari in pubblicità su riviste legali negli Stati in bilico, mettendo «in guardia gli avvocati di non rischiare di perdere la loro licenza legale aiutando Trump». Il riferimento è alla schiera di legali che lavorano per America first legal, accomunati, in una singolare visione del ruolo del difensore, a The Donald per stile e metodi con buona pace per la deontologia. Gli avvocati che hanno lavorato per Trump negli anni scorsi vengono definiti in modo tutt’altro che lusinghiero, sono considerati appartenenti ad “un esercito di Big lie lawyers”.

La risposta dell’Afl non si è fatta attendere. Il rappresentante di “The 65 Project”, Michael Teter, è stato segnalato all’Ordine degli avvocati dello Utah per la violazione delle norme che regolano la condotta professionale.
In questo clima avvelenato l’American Bar Association, l’organizzazione più antica che raggruppa avvocati e studenti di giurisprudenza, ha evidenziato il proprio impegno «a mantenere l’integrità e la percezione pubblica dell’equità nel processo elettorale». Il presidente dell’associazione fondata nel 1878, William R. Bay, ha affermato alla vigilia del voto che «il nostro sistema elettorale è tra i più sicuri, protetti e accurati al mondo e gli avvocati svolgono un ruolo fondamentale nel mantenerlo».