Da anni le istituzioni dell’avvocatura rivendicano il ruolo sociale della professione. Il contributo decisivo che gli avvocati offrono non solo alla giurisdizione ma all’intero sistema democratico. Eppure nella giornata che celebra i 150 anni degli Ordini, le parole pronunciate dal presidente del Cnf Francesco Greco hanno un peso diverso: «Le sentenze sono pronunciate dai giudici in nome del popolo italiano, ma è nelle mani di noi avvocati che i cittadini consegnano i loro diritti, i loro interessi, persino i loro sogni».

E ancora: «Abbiamo contribuito, in questo secolo e mezzo, alla tutela dei diritti, abbiamo operato al servizio del Paese». Verità che i 700 avvocati accorsi a Roma, all’Auditorium della tecnica, conoscono bene, custodiscono da sempre, ma che nel clou delle celebrazioni per la legge istitutiva degli Ordini acquistano un’altra consistenza.
Il Consiglio nazionale forense ha riunito «i rappresentanti di tutti i 140 Fori italiani, con i Consigli dell’Ordine, i Comitati Pari opportunità, i Consigli di disciplina, le realtà associative», come ricorda Greco. L’atmosfera è un insieme di orgoglio e di festa, di soddisfazione per una ricorrenza che inscrive la professione nella storia italiana. E c’è «l’omaggio agli avvocati che, come tutti, hanno contribuito ogni giorno all’affermazione dello Stato di diritto», aggiunge il presidente del Cnf, «ma che hanno addirittura pagato con la loro vita».

Li celebra un video proiettato, nel cuore della cerimonia, sul grande schermo che sovrasta il palco. Sono un indiretto riconoscimento di quel ruolo civile sublimato, in alcuni casi, in forme di martirio anche gli impegni assunti dai rappresentanti delle istituzioni. Innanzitutto dal guardasigilli Carlo Nordio, che (come riferito con ampiezza in altro servizio, ndr) si rammarica per il mancato inserimento della norma sugli avvocati nella riforma costituzionale della separazione delle carriere, e nello stesso tempo promette di rimediare «il prima possibile».

Affermazioni condivise dal vicepresidente della Consulta Giulio Prosperetti come dal sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro. Al termine della giornata, Greco torna per un attimo sul palco dell’auditorium a dichiararsi soddisfatto per «l’attenzione mostrata dal ministro Nordio ai temi cari all’avvocatura: il ruolo degli avvocati nei Consigli giudiziari, il riequilibrio tra avvocati e magistrati e la necessità», appunto, «di una riforma che sancisca il riconoscimento dell’avvocato in Costituzione». Il vertice dell’istituzione forense aggiunge di aver apprezzato «la convergenza manifestata dai parlamentari di maggioranza e opposizione durante la tavola rotonda: abbiamo recepito una concreta disponibilità al dialogo con l’avvocatura e con il Cnf per avviare le riforme indispensabili alla modernizzazione della giustizia, a partire proprio dall’inserimento dell’avvocato nella Carta costituzionale».
Sì, può darsi che la giornata serva a risvegliare la consapevolezza della necessità di quel riconoscimento, anche rispetto alle distorsioni inflitte, nella contronarrazione populista, alla figura dell’avvocato. Eppure il tono di Greco non è rivendicativo. C’è anzi umiltà, insistenza sul concetto dell’avvocato quale «servitore dello Stato». E così, ricorda il presidente Cnf, «dal 1874, dalla promulgazione a opera di re Vittorio Emanuele della legge 1938, che segna nel nostro Paese una svolta epocale: di testimonianze della presenza degli avvocati nella società possiamo trovarne a partire dall’età antica, addirittura nella civiltà babilonese, ma è con la legge istitutiva degli Ordini introdotta 150 anni fa che gli avvocati italiani diventano istituzione, e che viene sancito il loro ruolo sociale, nella giustizia e nella difesa dei diritti». Un secolo e mezzo in cui la professione forense ha garantito «lo Stato di diritto, la democrazia, la persona: in una parola, la libertà. Se oggi il nostro è un Paese libero, gli avvocati hanno fatto certamente la loro parte».
Oggi certo, sembrano prevalere, nella società, «urgenze di ordine economico. Ma noi», assicura Greco, «continueremo a tutelare innanzitutto gli ultimi. E per farlo nel migliore dei modi, siamo pronti ad assumerci le nostre responsabilità nell’organizzazione della giustizia. Apprezziamo il rafforzamento della nostra partecipazione nei Consigli giudiziari, ma non ci basta. Chiediamo che il nostro ruolo, al fianco di magistrati, amministrativi della giustizia e cittadini, sia più ampio».

Anche perché sullo sfondo c’è «la grande sfida del nostro tempo, lanciata dalla tecnologia: l’innovazione dell’intelligenza artificiale è nata per garantire una vita migliore a tutti, ma bisogna evitare che diventi lo strumento di nuove disparità. Dovremo impedire che chi ha maggiori possibilità economiche possa disporre, anche nella giustizia, di strumenti tecnologici superiori. Saremo al fianco dei più deboli, per un’autentica tutela dei cittadini». Ecco: neppure nelle parole con cui Greco raccoglie l’ultimo di una lunga serie di applausi affiora il tono della rivendicazione. Ma l’orgoglio, quello, c’è, si sente, ed è condiviso da tutta la platea degli avvocati.