«Gli avvocati ci sono sempre, per il bene della giustizia». Sono le parole con cui si conclude l’intervento inaugurale trasmesso dal presidente della Camera penale
Guglielmo Starace in occasione della cerimonia celebrata oggi presso la Corte d’appello di Bari. «Ci sono sempre» è un impegno di militanza per la Democrazia, di grandissimo e profondo significato. Ma quella frase non sempre trova corrispondenza in quanto accade nella prassi.
È noto cosa sia avvenuto proprio a Bari. Noto quanto meno ai lettori del Dubbio e a gran parte del mondo forense. A inizio dicembre i togati del
Consiglio giudiziario di Bari hanno contraddetto da par loro quell’accorata affermazione del presidente Starace con una delibera che ha cancellato il
diritto di tribuna per i laici. Ha negato ai tre rappresentanti dell’Avvocatura e alla consigliera nominata dall’Università di poter restare in Consiglio, pur senza intervenire, anche quando il resto dell’assemblea, cioè i togati, discute di promozioni e carriere. Vicenda clamorosa, perché contraddice un principio di trasparenza e persino la norma, inserita nel
ddl sul Csm all’esame della Camera, che istituzionalizza in modo vincolante quel diritto di tribuna, comunque assicurato fino a dicembre scorso nel distretto di Bari come in altre 14 Corti d’appello italiane.
Curzio: «Avvocati nell’autogoverno, scelta ormai acquisita»
Ebbene, qualcos’altro è successo, e di assai rilevante, nelle ultime ore. Soprattutto nell’ora dell’inaugurazione più solenne quella celebrata ieri in Cassazione. In diretta su Rai Uno, il primo presidente della Suprema corte
Pietro Curzio ha pronunciato le seguenti parole, di cui forse non tutti gli spettatori avranno colto il valore politico: la Cassazione, ha premesso, «partecipa al governo autonomo con il suo Consiglio direttivo, in cui sono presenti componenti laici e togati». E sì, per chi non lo sapesse un’articolazione dell’autogoverno è presente anche a piazza Cavour, e anche lì sono presenti i laici. Curzio quindi ha così definito le due componenti: «I togati, eletti dai magistrati della Corte, ed espressione del pluralismo di idee offerte dall’associazionismo giudiziario, comunque imprescindibile», e qui c’è un messaggio importante anche per la funzione delle correnti, non liquidabili come fenomeno di sottobosco mercantile.
«I laici», ha infine puntualizzato il primo presidente,
«esponenti del mondo forense e dell’accademia, presenti con diritto di tribuna anche alle sedute a partecipazione ristretta, in base a una scelta di trasparenza ormai acquisita come assolutamente naturale».
Un messaggio rivolto all’intera giurisdizione
Ecco, signori: il magistrato titolare della funzione di più alto grado dell’ordinamento, con poche ma chiarissime battute, ricorda alla prima cerimonia inaugurale successiva al “caso Bari” che la piena partecipazione dei laici nelle articolazioni dell’autogoverno è «ormai acquisita» e risponde a una «scelta di trasparenza». È dunque irrinunciabile, in un tempo in cui la trasparenza è precondizione necessaria per superare la crisi di credibilità inflitta dal
caso Palamara. Non ci sarebbe bisogno di aggiungere altro. L’inaugurazione dell’anno giudiziario è occasione in cui i massimi vertici della Cassazione scelgono parole e argomenti in modo non casuale. In una fase confusa sul piano politico, un messaggio del genere è pesantissimo, ed è chiaramente rivolto all’intera giurisdizione, non può essere certo inteso come autocompiacimento interno per i soli rapporti in seno al Consiglio direttivo della Corte.
Starace: «A Bari avvocati trattati da soggetto estraneo»
Si vedrà se in tempi ragionevolmente brevi il nodo dei laici nei Consigli giudiziari sarà definitivamente sciolto, magari a partire da una correzione di rotta proprio a Bari. Dove comunque risuonano sia le parole di Curzio sia quelle contenute
nell’intervento del presidente della Camera penale Starace. Il documento acquisito alla cerimonia tenuta oggi in Corte d’appello a Bari non manca di ripercorrere la vicenda: «L’improvvida scelta» di estromettere i laici dal “mini Csm” di Bari quando si discute sulle valutazioni di professionalità dei magistrati «appare ispirata dall’idea di un’Avvocatura ritenuta soggetto estraneo alla Giurisdizione» e «sottende la volontà di allontanare l’intera collettività» dallo stesso ordinamento. Starace ha impietosamente puntualizzato i paradossi contenuti anche in successive espressioni pubbliche venute dalla
Anm barese, come nel documento che «ha giustificato la decisione assunta dai togati del Consiglio paventando il pericolo conseguente
“all’immagazzinamento silente di una massa di informazioni delicate e sensibili ad opera di singoli avvocati quotidianamente impegnati nelle attività professionali dinanzi ai magistrati giudicati”».
«Il sospetto di un uso distorto e strumentale, in ambito professionale, delle eventuali informazioni acquisite nell’esercizio del diritto di tribuna appare profondamente irrispettoso della funzione dell’avvocatura», ha ribadito il presidente della Camera penale di Bari.
L’auspicio di un «comportamento diverso» ispirato alla «collaborazione»
«Si auspica», ha proseguito, «che, anche grazie all’intervento del presidente del nostro Ordine forense e dei Capi degli Uffici, da sempre apprezzati per il loro comportamento responsabile e coerente, si possa constatare un diverso comportamento che restituisca la dignità alla Classe forense e consenta di proseguire quella proficua collaborazione tra i protagonisti della Giurisdizione che garantisce la trasparenza delle istituzioni e la qualità nelle decisioni». L’avvocatura, ha infine ricordato Starace, «non ha certamente l’obiettivo di attaccare la magistratura, con la quale si è sempre onorata di collaborare nell’unico interesse della Giustizia». È così ed è forse il principio che l’intera magistratura dovrebbe saper cogliere. Se non lo facesse, la risalita dalle asperità della crisi rischierebbe di essere ancora più impervia.