Le organizzazioni Human Rights Watch, Bahrl (Belarusian association of human rights lawyers) e Right to defence hanno pubblicato un interessante report sulle condizioni di lavoro degli avvocati bielorussi. La pubblicazione si sofferma sul “giro di vite, di matrice politica, contro gli avvocati che si battono per i diritti umani in Bielorussia”. Chi esercita la professione forense non viene visto di buon occhio nel Paese governato con il pugno di ferro da quasi trent’anni da Alexander Lukashenko. Sono tante le similitudini con la Russia di Putin, a partire dalla considerazione che si ha per chi indossa la toga, difende i diritti umani, assiste – o meglio cerca di assistere – in tribunale oppositori e dissidenti politici. Con Lukashenko la Bielorussia è diventata uno Stato a compartimento stagno. Non comunica con l’Europa. Le notizie che si conoscono giungono soprattutto da chi ha lasciato il Paese.

Nell'agosto 2020 sono iniziate le proteste pacifiche contro Lukashenko con centinaia di migliaia di persone scese nelle strade di Minsk e di altre città. Le autorità bielorusse hanno risposto con una brutalità senza precedenti, ricorrendo a una forza eccessiva, detenendo arbitrariamente migliaia di manifestanti, sottoponendoli a maltrattamenti e torture prima di processarle. Da quattro anni viene attuata una repressione sistematica di qualsiasi forma di dissenso. Il report si sofferma sui provvedimenti del governo Lukashenko nei confronti degli avvocati che difendono gli oppositori politici. Come in Russia, anche in Bielorussia si assiste alla assimilazione tra avvocato ed assistito. Vengono infatti colpiti i professionisti che difendono le persone perseguite per motivi politici o che criticano gli abusi della polizia. Le conseguenze alle quali vanno incontro gli avvocati sono diverse, tra queste la sospensione e la radiazione dall’albo, l’arresto e l’avvio di procedimenti penali per motivi politici. In carcere gli avvocati subiscono maltrattamenti di ogni tipo.

Attualmente sono 6 gli avvocati in prigione; un centinaio sono stati radiati dall’albo e oltre 250 legali hanno deciso di non esercitare più la professione e abbandonare la Bielorussia. Gli avvocati Maksim Znak, Aliaksandr Danilevich, Vital Brahinets, Anastasiya Lazarenka, Yuliya Yurhilevich e Aliaksei Barodka sono tuttora dietro le sbarre. Devono scontare pene tra i sei e i dieci anni di carcere per accuse di tipo politico. Maksim Znak si trova in isolamento. Né il suo avvocato né i suoi familiari possono comunicare con lui. Non si sa neppure se sia ancora vivo. Diversi avvocati vengono processati in contumacia, come nel caso di Maria Kolesava- Hudzilina che ha fondato la Belarusian association of human rights lawyers.

La presenza oppressiva dello Stato ha interessato già da molti anni la professione forense. Nel 1997 Lukashenko ha emanato un decreto che ha concesso al ministero della Giustizia il potere di «concedere licenze e regolamentare il lavoro degli avvocati al fine di aumentare la qualità dei servizi legali». Si è trattato, come si legge nel report, dell’inizio del controllo totale sulla professione forense da parte dell’autorità statale.

«In Bielorussia – scrivono Human Rights Watch, Bahrl e Right to defence -, i prigionieri politici subiscono violazioni dei loro diritti e delle loro libertà durante le indagini preliminari, in tribunale, dopo la pubblicazione della sentenza e durante il trasferimento negli istituti penitenziari. Le violazioni includono anche la restrizione delle comunicazioni con i familiari e l’impossibilità di parlare con gli avvocati. Si registrano maltrattamenti, detenzioni in isolamento e torture. Il collocamento nelle carceri dei prigionieri politici prevede condizioni ancora più dure rispetto al resto della popolazione carceraria».

Il diritto penale bielorusso considera – solo sulla carta - la trasparenza uno dei principii fondamentali. Sempre più spesso i giudici celebrano i processi a porte chiuse. Questa situazione si verifica con sempre maggior frequenza quando gli imputati sono oppositori politici. La motivazione apparente di tale decisione riguarda la tutela della sicurezza nazionale. Gli avvocati possono andare incontro a responsabilità penale nel caso di diffusione di informazioni relative ai processi svolti a porte chiuse.

Inoltre, le Ong sono state vietate e si assiste ad una repressione sistematica degli organi di informazione. «Le perquisizioni – commenta l’avvocata Maria Kolesava- Hudzilina -, gli arresti e le torture sono all’ordine del giorno. L’emigrazione forzata è diventata inevitabile. Una situazione confermata nei documenti ufficiali del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, secondo il quale ci sono “fondati motivi per ritenere che in Bielorussia siano stati commessi crimini contro l'umanità”. La Bielorussia ha una storia di persecuzioni. Va detto che la repressione da noi è iniziata prima contro gli avvocati. Una pratica che poi è stata introdotta in Russia».