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Le immagini delle piazze, delle strade, degli spazi pubblici, contraddistinte da simboli e rituali capaci di trasmettere, al di là del linguaggio verbale, l’adesione valoriale, non contingente, a un impegno di lungo periodo nel contrastare la violenza contro le donne sono - non vi è alcun dubbio - parte di una memoria visiva di cui tutti portiamo traccia. Eventi internazionali e nazionali sia promossi dalle istituzioni, sia scaturiti dalla spontanea iniziativa della società e della cittadinanza sono il precipitato agito di un sentire diffuso: è evidente che vi sia un radicato e non epifenomenico nodo in cui la effettività della tutela dei diritti si scontra con la realtà. I fatti sono tanti e non tutti passano al vaglio e attraversano la ricostruzione del processo e del contraddittorio che a quest’ultimo si associa. Guardarli con una lente che si vuole più penetrante è ormai necessario. Inderogabile. I comportamenti denunciati in via, ancor prima che giudiziaria, sociale e mediatica sono, come sempre lo sono i comportamenti, il risultato della combinazione di fattori culturali, sistemici, economici, sociali, storici. Chiedere alla giurisdizione di essere lo spazio in cui i diritti trovano la loro riaffermazione è parte ineludibile del contratto sociale fondativo di una democrazia costituzionale rispetto a cui la violenza di genere rappresenta un chiaro vulnus. Ciò che preme qui sottolineare è la vulnerabilità dinnanzi alla possibilità offerta dalla giurisdizione per tutelare i diritti. Prendiamo la vulnerabilità, per così dire, evocando una celebre titolazione di Ronald Dworkin, sul serio. Invece di partire da un a priori, ossia da una rappresentazione della società basata sulla sua segmentazione in gruppi e classi contraddistinti da caratteristiche proprie e date a prescindere dalle condizioni che si realizzano di volta in volta, caso per caso nel rapporto con le istituzioni (quale quella che è alla base delle politiche per le fasce vulnerabili, le fasce deboli, ecc.), si propone di muovere da una visione dinamica delle vulnerabilità come effetto derivato dall’incontro di condizioni di vita e di esperienze. Così nasce la categoria dei vulnus alle abilità. I vulnus che possono essere portati alle abilità delle persone di gestire la propria vita non solo in "La categoria dei vulnus apportati alle abilità delle persone nasce da una visione dei titolari di diritti ispirata dai lavori di Amartya Sen, i quali ragionando in una prospettiva di uguaglianza attenta all’effettività dell’eguale trattamento così come alla necessità di una differenziazione di risposte che la società dà a problemi formalmente simili ma di cui fanno l’esperienza persone situate in posizioni di vita diverse, permettono di osservare non tanto e non solo l’interfaccia fra cittadino e giurisdizione nel momento in cui avviene l’accesso, ma soprattutto l’esperienza che viene fatta del cosiddetto “Stato di diritto in azione”. Alcune proposte e la centralità delle professionalità che sono presidio della legalità e della cultura della legalità “in azione”. La prima attiene alla consapevolezza del riflesso giuridico di comportamenti che devono trovare prima che la barriera della risposta giurisdizionale la barriera della risposta culturale. Si tratta di una cultura dei diritti su cui le professioni legali possono molto costruire e diffondere, esse sole capaci – per missione e per funzione – di svolgere quel raccordo necessario e vitale ad una democrazia costituzionale fra norma astratta di principio e normatività sociale vissuta dalle persone. La seconda attiene al monitoraggio delle criticità incontrate dalle donne nel loro percorso – se intrapreso – verso e all’interno della giurisdizione. Criticità emotive, linguistiche, psicologiche, organizzative, che sono legate ad una ampia e latu senso intesa sostenibilità del percorso di tutela dei diritti. Le politiche pubbliche avviate e implementate nella larga parte dei casi cercano di incidere facilitando l’accesso alla giustizia. Dobbiamo ampliare la visuale e occuparci di ciò che accade durante il percorso di attraversamento del tempo/ spazio in cui un procedimento viene definito e la eventuale decisione del giudice viene eseguita. Infine, esiste un tema di professionalità che vale la pena affrontare. Le professionalità legali hanno un connaturato metodo di interazione con il caso, la singolarità. Nondimeno la consapevolezza di quali aspetti possano creare dei vulnus a parti della cittadinanza che sono situate in posizioni a maggiore potenziale di vulnerabilità può essere di grande ausilio per permettere alle professioni legali di farsi voce attiva e forte nel percorso di progettazione delle politiche di inclusione e di qualità che sono promosse nei territori e nelle comunità locali. Se infatti è vero che lo Stato di diritto chiede garanzie eguali di eguaglianza di trattamento è anche vero che la traiettoria della vita delle donne che vivono l’esperienza di una interazione con la giustizia e la giurisdizione è profondamente influenzata da politiche che riguardano servizi, famiglia, casa, welfare, lavoro, formazione, ambiente. Le vulnerabilità non sono una caratteristica data. Sono un percorso. Di quel percorso e della vita delle donne che ricostruiscono la propria vita occorre che la governance pubblica si occupi.