Il Consiglio nazionale forense chiede l’immediato cessate il fuoco a Gaza per evitare ulteriori stragi di civili inermi e condanna ancora una volta con la massima fermezza ogni forma di violenza e terrorismo. L’avvocatura istituzionale esprime anche grande preoccupazione per il blocco della professione forense a Gaza a causa del conflitto militare che dura ormai da quasi un anno e lancia l’allarme rispetto al rischio di escalation.

«Occorre – evidenzia il presidente del Cnf, Francesco Greco - riprendere immediatamente i negoziati di pace tra le parti al fine di ottenere la liberazione degli ostaggi e porre fine alla catastrofe umanitaria nell’enclave palestinese. Come dimostrano i drammatici fatti di questi giorni, si rischia l’estensione del conflitto, con il moltiplicarsi delle violazioni del diritto internazionale generale e umanitario, oggetto di due procedimenti giudiziari internazionali in corso dinanzi alla Corte internazionale di giustizia e alla Corte penale internazionale».

Il Consiglio nazionale forense esprime massima solidarietà e vicinanza agli avvocati palestinesi. La sede della Palestinian Bar Association (PBA) – non considerata un obiettivo militare -, situata nel quartiere Al Rimal di Gaza, è stata distrutta quasi un anno fa con l’inizio delle operazioni militari da parte dello Stato d’Israele all’indomani delle stragi del 7 ottobre. Sotto le macerie anche l’archivio della PBA andato completamente distrutto. Gli iscritti alla Palestinian Bar Association sono circa ventimila.

Dopo l’intervento militare dell’ottobre 2023, l’avvocatura palestinese - organizzazione non governativa impegnata nella difesa dei diritti umani e operante nel rispetto dello Stato di diritto - ha denunciato «l’atto deliberato volto a mettere a tacere e terrorizzare gli avvocati per dissuaderli dal svolgere il loro ruolo nella difesa del diritto del popolo palestinese a resistere all’oppressione con tutti i mezzi disponibili e ad affermare i diritti riconosciuti dal diritto internazionale, dal diritto internazionale umanitario e dal diritto penale internazionale».
Inoltre, il Cnf condanna «le intimidazioni e gli ostacoli all’esercizio della professione forense in Cisgiordania» e rivolge «un pressante appello alle autorità italiane ed europee e agli organismi internazionali, affinché si compia il massimo sforzo per raggiungere l’obiettivo della fine delle ostilità, garantendo l’effettiva assistenza sanitaria e l’inoltro di aiuti umanitari immediati ai civili».
Leonardo Arnau, coordinatore della Commissione Diritti umani e protezione internazionale del Consiglio nazionale forense, si sofferma sulla drammatica situazione in cui versa l’avvocatura a Gaza e in Cisgiordania. «L’Ordine palestinese – ricorda Arnau - è stato fondato nel 1997 ed è presente sia in Cisgiordania che a Gaza, dove prima del conflitto operavano migliaia di avvocati. Impossibile conoscere il numero di quelli che sono stati uccisi perché mancano del tutto dati precisi. In Cisgiordania il sistema di checkpoint rende pressoché impossibile l’esercizio della professione forense. Ci vogliono ore per trasferirsi da un posto all’altro e ciò rende quasi impossibile assicurare la difesa innanzi alle Corti militari. Secondo i dati diffusi dai colleghi dell’Ordine della Palestina, gli avvocati palestinesi detenuti nelle prigioni israeliane in Cisgiordania, dopo il 7 ottobre 2023, sono 32, tra cui due avvocate, sugli oltre diecimila detenuti palestinesi e le condizioni della loro detenzione violano gli standard internazionali. In base alla legislazione d’emergenza vigente è possibile restare in detenzione amministrativa fino ad otto giorni, senza comparire dinanzi ad un giudice e gli arrestati sono privati dei loro diritti fondamentali, tra i quali la visita dei familiari e la difesa legale. Il cibo non è adeguato, così come le cure mediche e i detenuti subiscono continue minacce e intimidazioni».
Il Consiglio nazionale forense continua a ribadire l’importanza del lavoro della diplomazia in questo momento molto delicato. «Occorre riprendere immediatamente i negoziati di pace – aggiunge Leonardo Arnau - al fine di liberare gli ostaggi e porre fine alla catastrofe umanitaria nell’enclave palestinese, evitando l’ulteriore espandersi del conflitto. La posta in gioco è molto alta, e va al di là anche del terribile conflitto tra israeliani e Hamas. C’è la guerra conseguente all’invasione russa dell’Ucraina e ci sono molti altri conflitti in corso. Occorre dare forza all’Onu e alla diplomazia, garantendo effettività al diritto internazionale e alle convenzioni di Ginevra. Dopo potrebbe essere troppo tardi. Se non ora quando?».
Forte preoccupazione per l’espandersi del conflitto anche in Libano viene espressa dall’Ordine degli avvocati di Beirut. Il presidente Fadi Masri ha sottolineato che la popolazione civile non deve essere esposta alla violazione del diritto internazionale e che in questa fase un prezzo molto alto lo stanno pagando gli avvocati, soprattutto del Sud del Libano, costretti ad abbandonare gli studi legali e ad interrompere ogni attività.