PHOTO
Valter Militi, nuovo presidente di Cassa forense
C’era una possibilità prevista in legge di Bilancio, per gli azionisti di Bankitalia: incrementare la relativa quota fino a un massimo del 5 per cento. Fra i soggetti che hanno deciso di avvalersi di tale facoltà c’è anche Cassa forense: dal 3 per cento detenuto fino a pochi giorni fa, l’istituto previdenziale dell’avvocatura ha chiesto, e ottenuto da Palazzo Koch, l’acquisizione di un altro pacchetto azionario, pari all’1,93 del capitale, per un totale appunto del 4,93 per cento, a pochissimo dalla soglia prevista con la nuova disciplina. «È una scelta semplice, assai facilmente leggibile», spiega al Dubbio il presidente del’istituto Valter Militi, «punta a ottenere una remunerazione interessante a fronte di un indice di rischio assimilabile a quello relativo agli strumenti di debito pubblico italiano». L’Ente previdenziale, in una nota, ha spiegato come la scelta, deliberata nei giorni scorsi dal Cda, si inserisca «nell’azione a sostegno dell’economia reale del Paese». Ma è chiaro che, ribadisce il presidente Militi, «si tratta innanzitutto di un’operazione con cui viene messo in sicurezza il patrimonio della categoria. Basta considerare i numeri: il precedente 3 per cento aveva comportato per noi un impegno finanziario di circa 225 milioni di euro, mentre la nuova quota acquisita ne ha richiesti 150. In tutto circa 400 milioni di impegno, a fronte di cedole da circa 10 milioni l’anno, che in 6 anni hanno già portato a Cassa forense quasi 70 milioni di euro. E ora la progressione è destinata ad aumentare». È interessante anche guardare al parco degli azionisti, che annovera istituti di credito nazionali primari, da Intesa Sanpaolo a Unicredit e Generali, e che però vede ben rappresentata anche la previdenza di libere professioni e altri comparti. Oltre a Cassa forense compaiono, con quote simili, Inarcassa, gli enti di medici e commercialisti e l’Enpaia, l’istituto degli impiegati nel settore agricolo. Fino a prima dell’ultima Manovra, Intesa e Unicredit staccavano tutti gli altri, con quote rispettivamente del 20,09 e del 10,81 per cento. Ma l’ultima legge di Bilancio ha imposto l’allineamento dei partecipanti alla soglia massima del 5. Così, Cassa forense, che nella impropria classifica si collocava al settimo posto, ora è in pratica ai vertici, appaiata con diversi altri soggetti. «È un dato che non deve essere frainteso: la partecipazione di enti finanziari e previdenziali a Bankitalia non denota certo un controllo, è una presenza che risponde a funzioni e obiettivi istituzionali», ricorda Militi. Ma la capacità di acquisire quote comunque consistenti, dimostrata da Cassa forense con i fatti, può comportare un vantaggio d’immagine non solo per l’istituto ma anche per l’avvocatura nel suo complesso? «Certo che può trattarsi di un ritorno positivo», osserva Militi, «sia rispetto agli interlocutori finanziari che a quelli politici. È chiaro che l’immagine di cui parliamo è di forza e solidità per la categoria, non solo per la sua Cassa. Ma ciò a cui noi guardiamo è la stabilità che ci consente di realizzare un’operazione remunerativa e interessante. Il resto è bene che venga, ma l’obiettivo resta salvaguardare il futuro previdenziale degli avvocati».