Non si placa la reazione dell’avvocatura dopo il nuovo attacco sferrato dalla Procura di Milano alla funzione difensiva, con l’iscrizione a registro degli indagati di due penalisti ritenuti “colpevoli” di assistere un presunto terrorista turco, e addirittura destinatari di una richiesta di misura interdittiva, negata dal gip.

Vicenda che inquieta anche per la l’analogia con un altro sconcertante caso di attacco al ruolo dell’avvocato: l’indagine su Alessia Pontenani, avvocata di Alessia Pifferi, la madre condannata per far aver lasciato morire di stenti la figlioletta di appena 18 mesi. È l’Organismo congressuale forense, ora, a intervenire con una dura nota, in cui non si escludono «adeguate modalità di mobilitazione e di protesta commisurate all’estrema gravità di quanto accaduto».

L’iniziativa della Procura di Milano, ricorda innanzitutto Ocf, «peraltro non avallata dal Giudice per le indagini preliminari»  Procura che appunto «ha indagato e chiesto la misura interdittiva nei confronti di due difensori nell’ambito dello stesso procedimento nel quale espletavano l’incarico difensivo» –, rappresenta «una grave compressione del diritto di difesa», e determina «l’impossibilità di garantire la stessa», attraverso il ricorso a «investigazioni e tesi accusatorie che non tengano conto della importanza del ruolo del difensore».

Sono parole che esprimono un vero e proprio deliberato dell’assemblea di Ocf, nel quale si manifesta «forte preoccupazione per il verificarsi di vicende giudiziarie che evidenziano la diffusione di idee di giustizia che contrastano con la natura liberale e democratica del nostro Stato», ed è evidente, seppur implicito, il riferimento anche al caso dell’avvocata Pontenani.

«Infatti, la libertà del rapporto tra avvocato e assistito», ricorda ancora l’Organismo congressuale forense, «discende dalla funzione essenziale della difesa nel processo», e «le indagini a carico del difensore nel corso del processo costituiscono di per sé una aggressione alla libertà del cittadino».

Inoltre, «l’ascolto e, per giunta, l’utilizzazione di conversazioni tra l’indagato e il suo difensore sono un vulnus» rispetto a una «concezione liberale della giustizia, in violazione del divieto espresso di cui all’articolo 103 comma 5 c.p.p.».

Il cittadino, prosegue la nota di Ocf, «deve rapportarsi al suo difensore con l’assoluta tranquillità che quanto riferito non sia percepito dagli inquirenti e, addirittura, utilizzato contro di lui nel processo a suo carico. Diversamente, la difesa sarebbe ineluttabilmente negata e il difensore posto nell’impossibilità di espletare effettivamente il mandato professionale».

E perciò l’Organismo congressuale forense chiede «al Parlamento» di «approvare con urgenza in via definitiva, la riforma dell’articolo 103 c.p.p. che, nella nuova formulazione, obbliga espressamente gli inquirenti ad interrompere immediatamente l’ascolto delle conversazioni nel caso di colloquio al quale prenda parte l’Avvocato».

L’Assemblea inoltre, conclude dunque la nota di Ocf, «ha dato mandato all’Ufficio di Coordinamento di valutare adeguate modalità di mobilitazione e di protesta commisurate all’estrema gravità di quanto accaduto».