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È scontro durissimo tra penalisti e magistrati a Napoli: da un lato le Camere Penali del Distretto di Corte di Appello, dall'altro il Tribunale di Sorveglianza e la giunta dell'Anm. Il casus belli, come vi abbiamo raccontato due giorni fa, è rappresentato da un documento dei penalisti campani in cui denunciano gravissime e non più tollerabili criticità degli uffici di sorveglianza: «Inaccettabile» è per loro il tempo tra la presentazione delle richieste di accesso ai benefici e la loro registrazione, il tempo tra quest’ultima e la fissazione dell’udienza, l’elevato numero di rinvii delle udienze per carenza o assenza di istruttoria, la tempistica di invio delle impugnazioni alla Cassazione, di decisione sui permessi premio, di valutazione sulle istanze di liberazione anticipata, reclamo e riabilitazione. «Da troppi anni nel distretto di Napoli viene sistematicamente mortificato il diritto dei detenuti a espiare la pena secondo principi e modalità conformi al dettato costituzionale», ci aveva detto Marco Campora, Presidente della Camera Penale di Napoli. E invero lo stesso Presidente della Corte di Appello di Napoli, Giuseppe de Carolis di Prossedi, all'ultima inaugurazione dell'anno giudiziario aveva sottolineato le disfunzioni riguardanti gli uffici di sorveglianza: «Risulta significativamente aumentata del 21 per cento la pendenza dei procedimenti del Tribunale di Sorveglianza di Napoli, passati da 28.039 a 33.983; così anche nell' Ufficio di Sorveglianza di Napoli, anche qui è aumentata la pendenza, e nell'ufficio di sorveglianza di Santa Maria Capua Vetere. Mentre invece risulta ridotta la pendenza negli uffici di sorveglianza di Avellino, passando da 2.372 a 2.042. Nel complesso però gli uffici di sorveglianza sono in grande sofferenza. Siccome sono un ufficio molto delicato, questo sicuramente è un dato che ci fa riflettere». - Leggi anche: Il testimone Palamara torchiato sulle nomine a Roma e a Milano Tuttavia la miccia che ha fatto scoppiare lo scontro è stata la richiesta che concludeva il documento dei penalisti: cari magistrati di sorveglianza o «ripristinate la legalità costituzionale della pena», risolvendo tutte le criticità evidenziate, oppure «vi autosospendete dal servizio per impossibilità di rispettare le norme codicistiche e costituzionali». Proposta irricevibile da parte della Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Napoli, Angelica Di Giovanni, che ha richiesto l'apertura di una pratica a tutela al Csm, la cui attività istruttoria rimarrà non pubblica fino al suo esito nel plenum. A tale iniziativa, replica così la Camera Penale di Napoli: «Il senso del nostro documento era - ed è - chiarissimo e non suscettibile di fraintendimenti: le condizioni in cui versa il Tribunale di Sorveglianza sono gravissime e producono la sistematica violazione dei principi costituzionali e dei diritti dei detenuti. Avevamo invitato i magistrati di sorveglianza a partecipare con noi ad una battaglia per il ripristino delle condizioni minime di legalità e giustizia. La risposta fornitaci è stata invece una chiusura corporativa netta, intrisa di riflessi pavloviani laddove si riesuma l’istituto vintage del “fascicolo a tutela”». Per i penalisti partenopei l'invocazione della «carenza di mezzi e risorse» è un «mero alibi deresponsabilizzante. Sarà forse impopolare dirlo ma la carenza di mezzi e di risorse impone a ciascuno di noi, a seconda dei propri ruoli e delle proprie responsabilità, di fare qualcosa di più». Nel dibattito, come anticipato, è intervenuta anche la giunta dell'Anm di Napoli, il cui Presidente, Marcello De Chiara, dice al Dubbio: «La magistratura di sorveglianza napoletana è da sempre avanzato baluardo nella tutela dei diritti dei detenuti; mi pare che, con grande onestà, ciò sia stato riconosciuto dagli stessi avvocati, ma con la stessa onestà debbo dire che attribuire ai magistrati di sorveglianza la sistematica violazione delle norme costituzionali è un’accusa ingiusta ed in alcun modo aderente alla realtà dei fatti». E prova a distendere i toni: «Auspico che con la Camera Penale di Napoli possano esservi al più presto occasioni di reale confronto. Le proposte di collaborazione non possono però essere veicolate attraverso comunicati stampa o accompagnate da richieste di autosospensione che rischiano di assumere il significato di una inutile, anche se involontaria, provocazione: bisogna invece al più presto incontrarsi, ragionare insieme, unire le nostre alte professionalità per individuare tutte le possibili soluzioni; in questa direzione va il mio auspicio ed intendo adoperarmi personalmente».