PHOTO
Gian Domenico Caiazza
A proposito di riforma del Csm, di una cosa nessuno parla: l’abolizione delle “categorie riservate ” nel sistema elettorale. Tra i pochi, anzi l’unico, a notarla è Gian Domenico Caiazza. Presidente dell’Unione Camere penali italiane e dunque leader di quella categoria, l’avvocatura penale, che è controparte del partito trasversale e dominante tra i magistrati: i pubblici ministeri. Caiazza ne pala in una conversazione con l’Adn-kronos. E si sofferma anche su altri aspetti, in particolare i modesti passi avanti compiuti dal ddl sulle «valutazioni di professionalità»: non viene in realtà superato il meccanismo dell’«automatismo di carriera». Vero, ed è paradossale che invece nella riforma penale si sia previsto di penalizzare chi non produce sentenze in fretta, come se l’obiettivo di un giudice non consistesse nel decidere bene ma nel decidere in modo seriale. Ma appunto il leader dell’Ucpi, vede in controluce un aspetto del sistema per eleggere i togati sul quale nessuno si è soffermato: l’abolizione della norma che distingueva i candidati al Csm in base alle categorie “requirente” e “giudicante”. oltre che per la categoria “di legittimità” (l’unica sopravvissuta). «La conseguenza sarà devastante perché potrebbero essere eletti principalmente pm, come perl’Anm», nota Caiazza. «Mettere il Csm nelle mani dei pm è una deriva di governo delle toghe a prevalenza dei magistrati d’accusa. Sarebbe un organo di autogoverno nelle mani delle Procure». In generale per il leader dei penalisti italiani si tratta di una riforma «gattopardesca», che «sembra voler riformare tutto ma non riformerà nulla». Perché? Spiega Caiazza: «Mancano interventi decisivi, come sull’automatismo di carriera dei magistrati, caso di distorsione italiano unico al mondo». Nulla impedirà che anche toghe macchiate da clamorose inefficienze vengano riconosciute meritevoli di passare di gran carriera da una valutazione di professionalità (che equivale a scatti stipendiali) all’altra. «Dal 1970 sono state eliminate le promozioni basate sulle valutazioni di merito dei magistrati», ricorda il presidente dell’Unione Camere penali. «Oggi si entra da uditori e si finisce con stipendi», appunto, «da giudici di Cassazione, nel 99 per cento dei casi per automatismo. La conseguenza è il totale appiattimento valutativo e l’ingresso, all’occorrenza, del criterio correntizio. Siamo unici al mondo, nell’adoperare questa modalità, che porta alla distorsione di equiparare l’eccellenza all’anzianità». Caiazza si rammarica di come, nonostante si parli di «oggettivizzazione dei criteri», non ci sia «diversità oggettiva nelle carriere». Essa sola «permette di valutare qualitativamente e in modo diverso un magistrato da un altro». Se manca il coraggio di una scelta simile, il famoso “merito” proclamato dagli artefici della riforma, innanzitutto dal guardasigilli Bonafede, «è un’impresa impossibile». L’Adn-Kronos ricorda come tra le novità introdotte dalla riforma nei criteri di assegnazione degli incarichi, vi sia un parziale ritorno all’anzianità. «Lo posso capire», commenta Caiazza, «dato che non ci sono altri criteri valutativi oggettivi. Ma così poi il criterio di nomina rimarrà politico e comunque arbitrario». In ogni caso, il vero baco del ddl varato venerdì sera è, per il presidente dell’Ucpi, quell’aspetto del nuovo sistema elettorale: «Devastante», è l’aggettivo usato da Caiazza. Certo una paradossale replica alla proposta di separare le carriere avanzata proprio dai penalisti italiani.