Indagati con l’accusa di ricettazione, poi smontata dal gip, che ha negato la misura interdittiva: il caso dei due avvocati milanesi ai quali i pm avevano contestato il compenso ricevuto da un loro assistito resta un campanello dall’allarme, a prescindere dall’evoluzione di quel procedimento.

Ne sono convinti l’Ordine degli avvocati e la Camera penale di Milano, che hanno promosso un convegno per ribadire il rischio di veder confuso l’onorario del difensore con l’attività illecita ascrivibile a un cliente. «Se troppo spesso la società tende a sovrapporre i due concetti, mai ci si aspetterebbe un simile fraintendimento all’interno del sistema giustizia», si legge nella nota del Coa e dei penalisti milanesi.

«il compenso è chiaramente molto più di un mero adempimento civilistico: ha a che fare con valori fondamentali quali l’indipendenza, la libertà nel mandato, il segreto professionale e l’inviolabilità della funzione difensiva». E quindi «la configurabilità del reato di ricettazione in relazione al compenso è incompatibile con il diritto costituzionale di difesa». Perciò l’Ordine e la Camera penale milanese ritengono «necessario, per evitare interpretazioni strumentali, consacrare il principio a livello normativo». In particolare con un «inserimento al 648 c. p. di una causa espressa di esclusione della responsabilità dell’avvocato nella ricezione del compenso dovuto» e anche con la «definizione di strumenti» per tutelare il diritto del difensore all’onorario, per esempio con lo «svincolo di somme sequestrate per pagare il compenso sulla base dei parametri».

Si tratta, dichiara in particolare il presidente dell’Ordine di Milano Antonino La Lumia, di «un tema delicato che necessita di una posizione chiara e ferma: la nostra professione costituzionalmente garantita non può essere accompagnata dal rischio di opacità. Ogni reo ha diritto a un giusto processo, così come a ogni professionista è dovuto un compenso per la propria attività: questi due assunti viaggiano su due direttrici parallele. Ritengo necessaria una riflessione anche legislativa: servirà a dissipare possibili ombre». E la presidente della Camera penale di Milano Valentina Alberta ricorda che «il ruolo dell’avvocato penalista è molto complesso e spesso subisce un pregiudizio di fondo: la sua attività professionale non può essere minimamente associata alle possibili condotte delle persone che difende. Riteniamo importante rispondere sul terreno del diritto e non del sensazionalismo tanto facile quanto pericoloso per la tutela delle garanzie».