L’occasione della celebrazione del 150° anniversario dell’istituzione dell’Ordine Forense è la celebrazione di tutta l’Avvocatura che, negli anni, per più di un secolo si è resa protagonista dei cambiamenti socio-politico-economici e che continuerà a farlo, dentro e fuori dalle Istituzioni, dentro e fuori dalle aule di giustizia, con l’obiettivo di porsi come baluardo ad ogni tentativo di compressione delle garanzie dei diritti della persona e ogni, seppur minimo, tentativo di erosione degli spazi di democrazia. 

Celebrazione che il Consiglio Nazionale Forense ha inteso racchiudere nella manifestazione pubblica che si svolgerà il prossimo 6 dicembre, la cui occasione di incontro e di dibattito – consentitemi di affermarlo - non avrebbe compiuto senso se non ci inducesse a constatazioni, riflessioni, meditazioni. Diverrebbe addirittura inutile, se non esprimesse il significato profondo che lo qualifica, se non imponesse di approfondire le problematiche che interessano il mondo giudiziario, se non ci ponesse di fronte al dovere di cogliere le preoccupazioni e le aspettative delle Avvocate e degli Avvocati Italiani, se non ci rendesse autori di un messaggio propositivo e di speranza che, attraverso la riepilogazione ed il ricordo delle proprie tradizioni e della propria storia, delinei come dovrà immaginarsi e costruirsi l’Avvocato del futuro. Ma lo sguardo verso il futuro non può prescindere dall’elemento fondamentale che riconosce negli Avvocati una parte integrante ed essenziale della giurisdizione.

Per questo oggi la battaglia dell’Avvocatura non può essere che la battaglia per la giustizia, per la integrità e la protezione della giurisdizione, il cui corretto esercizio esige, però, riserbo e discrezione, non certo polemiche, spettacolarizzazioni, fughe di notizie, che alimentano sospetti e sconcerto nei cittadini.

Non si deve – non si può -, quindi, prescindere dallo scrupoloso rispetto dei principi della separazione ed autonomia dei tre poteri, nei quali si articola l’organizzazione dello Stato democratico, e, soprattutto, di un corretto loro equilibrio. Occorre un potere legislativo che operi nella chiara visione delle linee di sviluppo del Paese, senza inseguire le emergenze ma, possibilmente, prevedendole, rinnegando il vizio di quelle leggi oscure, contraddittorie, vessatorie, che vengono denunziate da tempo; una legislatura, cioè, che scriva norme chiare, comprensibili, certe nei significati, tecnicamente corrette, tali da non sconcertare gli interpreti ed i cittadini e che raccolga e coordini la selva di norme che disciplinano specifiche materie in organici testi unici.

Il potere esecutivo deve governare – ad ogni livello - con autorevolezza, capacità, trasparenza, discrezionalità politica e gestionale, nel rispetto dei principi costituzionali del buon andamento e dell’imparzialità dell’amministrazione. Abbiamo necessità, ora più che mai, di un potere giudiziario chiamato unicamente ad adempiere con celerità ed efficienza il dovere dello Stato di rendere giustizia ai cittadini, che - a loro volta - hanno il diritto ad ottenerla, senza attribuirgli compiti di supplenza di altri poteri.

Oggi più che mai, se si vuole preservare ed accentuare il ruolo degli Avvocati nel Paese, è necessario fare tesoro di ciò che essi hanno rappresentato negli ultimi 150 anni della storia d’Italia. Dal ruolo svolto nella formazione della Carta repubblicana, dove hanno preso parte alla vita pubblica divenendone protagonisti. Protagonisti dei cambiamenti storici e culturali. Di quei cambiamenti che hanno accompagnato le diverse epoche nelle quali il Paese ha cambiato “volto”.

Intendo riferirmi agli avvocati che hanno accompagnato il riconoscimento della forma repubblicana quale forma di governo di democrazia rappresentativa. A quello svolto nelle istituzioni, dove sempre hanno ricoperto ruoli di primaria importanza: a tacer d’altre, il primo Presidente della Repubblica, Enrico De Nicola, era un avvocato. Ed erano avvocati i Presidenti Giovanni Leone, Sandro Pertini, Sergio Mattarella. Hanno ricoperto altre alte cariche dello Stato; hanno composto, da componenti laici, la Consulta ed il Consiglio Superiore della Magistratura; sono stati nominati Ministri, non solo della giustizia.

Per non parlare del ruolo svolto nella Società. Molto ci sarebbe da dire sulla funzione sociale dell’avvocato. Tuttavia, in questo contesto, basta ricordare, tra gli altri, gli “esempi” degli avvocati Fulvio Croce e Giorgio Ambrosoli. Il primo, Presidente del Consiglio dell’Ordine Forense di Torino che, per rivendicare ed esaltare i valori di libertà e di giustizia, che esprimeva quotidianamente non solo nell’intensità dell’esercizio professionale, ma soprattutto nell’esplicazione delle sue funzioni di rappresentante dell’Ordine, delle quali avvertiva, fino allo spasimo, la responsabilità e la delicatezza, è caduto, trucidato dalle brigate rosse, al suo posto, per il doveroso svolgimento della sua funzione.

Il secondo che, quale commissario liquidatore unico della Banca Privata Italiana di Michele Sindona, banchiere legato a cosa nostra, fu assassinato da un killer mafioso per aver svolto l’incarico con la massima integrità, rifiutando ogni accomodamento a danno dei contribuenti.

È appunto seguendo l’insegnamento dei grandi avvocati del passato che hanno dato prestigio alle Istituzioni e onorato il libero foro, che l’Avvocatura deve ribadire e confermare l’impegno nel continuare, con abnegazione, con responsabilità, con alto senso etico, con partecipazione attiva e generosa a prestare il suo servizio per assicurare il migliore funzionamento del sistema di amministrazione della giustizia e con ciò contribuire a dare una nuova prosperità al nostro Paese.