Un episodio di ordinaria amministrazione si è trasformato in un incubo per un avvocato e la sua famiglia. Fino a coinvolgere le forze dell’ordine e la magistratura in un caso di minacce e intimidazioni che ha scosso profondamente l’intera comunità di Vibo Valentia.

Il punto di partenza di questa vicenda risale a quando un avvocato, esasperato dai continui ritardi nel pagamento delle parcelle, ha deciso di ricorrere a un decreto ingiuntivo per ottenere quanto gli spettava. Questo strumento legale, che ha portato al blocco dei conti bancari del cliente moroso, avrebbe dovuto segnare la fine della controversia. Si è rivelato invece l’inizio di una spirale di violenza psicologica che ha messo a rischio la sicurezza e la serenità di più persone.

Il cliente, già noto alle forze dell’ordine per precedenti episodi di violenza, non ha reagito come ci si sarebbe potuto aspettare. Invece di cercare una soluzione pacifica o di affrontare la questione nelle sedi opportune, ha dato il via a un’escalation di atti persecutori, che hanno rapidamente superato ogni limite di tolleranza. La sua rabbia, innescata dal blocco dei conti, si è rivolta immediatamente contro l’avvocato che aveva osato far valere i propri diritti. Il legale è diventato bersaglio di una serie di minacce inquietanti, veicolate con messaggi che lasciavano presagire una vendetta. L’ex cliente ha espresso la volontà di “diventare un’ombra” nella vita dell’avvocato.

Non riuscendo a rintracciare il legale presso la sua abitazione, il persecutore ha spostato il suo attacco verso un bersaglio ancora più vulnerabile: la madre dell’avvocato. La donna, ignara e innocente, è stata travolta da un’ondata di paura quando ha ricevuto minacce telefoniche dirette, in cui si lasciava intendere che anche la sua sicurezza era in pericolo. Questo tentativo di colpire le persone care al legale ha rappresentato un ulteriore salto di qualità nella spirale di violenza. Ma il gesto più agghiacciante si è verificato quando l’uomo ha lasciato sul parabrezza dell’auto del legale un libretto di preghiere intitolato “Massime Eterne”, un oggetto tradizionalmente associato ai defunti. Il messaggio era chiaro e accompagnato da un avvertimento diretto e spaventoso rivolto al figlio di tre mesi dell’avvocato. Un atto che ha superato ogni immaginazione, seminando terrore e preoccupazione nell’intera giovane famiglia del professionista. La presenza di quel libretto, con tutto il carico di significati funerei, ha costretto il legale a rivolgersi nuovamente alle autorità, questa volta per denunciare non solo le minacce ricevute, ma anche un tentativo di estorsione e atti persecutori che andavano ben oltre il semplice contenzioso economico.

La risposta delle forze dell’ordine è stata immediata e decisa. I carabinieri della stazione di Arena, sotto il coordinamento diretto della Procura di Vibo Valentia guidata dal procuratore Camillo Falvo, hanno avviato un’indagine approfondita, e hanno costruito un quadro accusatorio dettagliato, sottoposto algip del Tribunale calabrese. Il giudice ha emesso un’ordinanza cautelare nei confronti del presunto persecutore. A quest’ultimo è stato imposto il divieto assoluto di avvicinarsi all’avvocato e ai suoi familiari, con una distanza minima di 500 metri e il divieto di qualsiasi forma di comunicazione con le vittime.

L’episodio si inserisce in un contesto più ampio di criticità che hanno visto protagonista il territorio di Vibo Valentia, in cui l’intimidazione contro i professionisti del diritto sembra essere un fenomeno in preoccupante crescita. A tal proposito, abbiamo sentito il presidente della Camera penale di Vibo, Giuseppe Mario Aloi, che ha voluto esprimere «la massima solidarietà e profonda indignazione per il gesto vile e inaccettabile subito dal collega. Purtroppo, come Camera Penale ci troviamo spesso a confrontarci con casi simili. Esercitare la professione di difensore in un contesto come il nostro non è affatto semplice. Rispetto ad altre realtà, qui dobbiamo fare i conti con numerosi problemi legati a fenomeni locali, oltre alla criminalità organizzata. Abbiamo anche a che fare con un’economia fragile e povera, che rende il quadro ancora più complesso».

Continua Aloi: «Il problema non è solo la violenza fisica o verbale, ma una sorta di delegittimazione del ruolo dell’avvocato, che sta diventando sempre più evidente. L’opinione pubblica, in parte influenzata da un giustizialismo diffuso, vede spesso il difensore come un ostacolo all’esercizio della giustizia, anziché come colui che garantisce il rispetto scrupoloso delle regole del codice. Questa percezione distorta, unita a un sistema giustizia che non sempre funziona come dovrebbe, crea un cocktail pericoloso che può sfociare in episodi gravi come quello di cui stiamo parlando». Aloi ha anche voluto sottolineare l’importanza della risposta tempestiva delle autorità: «In questo caso devo esprimere piena soddisfazione per l’immediata risposta della Procura della Repubblica, che ha dato ulteriore prova dell’efficienza dimostrata in questi anni dal procuratore Falvo. Nella triste vicenda, questo è un fatto positivo su cui dobbiamo riflettere».

Non si tratta, come ricordato dal presidente della Camera penale, di un caso isolato: è dei giorni scorsi la notizia, riferita su queste pagine, di un’altra avvocata di Vibo Valentia minacciata via mail, mentre a Crotone un avvocato è stato brutalmente aggredito nel proprio studio. «Sono campanelli d’allarme che dovrebbero indurre tutti noi a riflettere seriamente», ha aggiunto Aloi, «come Camera penale, le battaglie che portiamo avanti non sono solo per la tutela dei professionisti, ma soprattutto per garantire che i cittadini possano continuare a contare su un sistema giustizia equo e funzionante».