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Hanno rinunciato anche agli avvocati. La corsa alle presunte “semplificazioni” lanciata dall’omonimo decreto rischia di travolgere non solo la tutela giurisdizionale ma anche le competenze. È lo scenario squadernato dalla consigliera Cnf Isabella Stoppani al “Salone della Giustizia” nella giornata conclusiva di ieri, in uno dei dibattiti più densi della manifestazione, dedicato alla “Riforma e semplificazione degli appalti pubblici quali necessari volani per il rilancio dell’economia”. Ebbene, Stoppani non ha fatto altro che ricordare un dettaglio semplice e sconcertante nello stesso tempo: fra le diverse garanzie “asfaltate” dal decreto Semplificazioni, forse con l’obiettivo di placare un’ipotetica platea elettorale, c’è anche la competenza degli avvocati, tenuti ancora fuori dalle commissioni per le gare d’appalto presso le pubbliche amministrazioni. «C’era una norma, inserita in una delle diverse fasi del codice degli appalti, che attribuva al Consiglio nazionale forense e ai singoli Consigli dell’Ordine degli avvocati la facoltà di indicare i nomi di iscritti in grado di essere inseriti nelle commissioni presso le stazioni appaltanti. La logica era semplice e condivisibile: assicurare un contributo di competenza a organismi di gestione e valutazione sulle gare altrimenti costituiti solo da funzionari pubblici, non sempre dotati di tutte le conoscenze necessarie per predisporre i bandi e compiere scelte adeguate». Anche perché, ha ricordato la consigliera del Cnf, «è opinione condivisa che in simili contesti sia necessario valorizzare la funzione dell’avvocato nell’ottica di prevenire, evitare il contenzioso».
L’avvocato come tecnico del diritto in grado di predisporre, nelle gare per appalti e servizi, regole a prova di ricorso: sembra l’uovo di Colombo, è in realtà, come ricorda Stoppani, una norma rimasta in vigore, all’articolo 84 del codice degli appalti, per alcuni anni, fino al 2016, ma non attuata. Se non nella parte che competeva a Coa e al Cnf. I quali «sono andati ben oltre l’unico requisito previsto dal codice, ossia i 10 anni di attività professionale. Hanno evitato, per ragioni di correttezza, di limitarsi a indicare nomi alle pubbliche amministrazioni. Hanno invece predisposto» , ricorda ancora la consigliera Cnf, «elenchi di avvocati compilati a seguito di un’istruttoria, vale a dire in base ai curricula e alle esperienze professionali effettivamente acquisite dai colleghi». Solo che quegli elenchi non sono stati usati: nel 2016 la norma è cambiata perché le competenze sull’inserimento di professionisti esterni nelle commissioni sono state trasferite all’Anac, ma senza che ne potesse seguire l’effettiva predisposizione degli elenchi. Ora il decreto Semplificazioni ha rinviato al 31 dicembre 2021 l’obbligo, per l’authority Anticorruzione, di attuare la normativa. Un ritardo, voluto deliberatamente dal legislatore, nell’applicare una norma preziosa, che ha vanificato la puntualità di Cnf e Consigli dell’Ordine — al dibattito di ieri è intervenuto anche il presidente del Coa di Roma Antonino Galletti. Già anni fa le istituzioni forensi avevano risposto al dettato normativo con diligenza e trasparenza superiori al richiesto.
La morale della favola è nella premessa che ha introdotto il dibattito, affidata a una delle massime esperte italiane della materia, l’ordinario di Diritto amministrativo a Roma Tre Maria Alessandra Sandulli: «Il codice degli appalti ha mortificato la funzione di tutela giurisdizionale, con modifiche che la riducono al solo aspetto risarcitorio: vuol dire concedere appalti e forniture a soggetti inadeguati tecnicamente o addirittura moralmente, e far così pagare i cittadini due volte. Una per l’opera affidata a chi non ha requisiti per realizzarla, un’altra per risarcire chi quei requisiti li aveva e ha dovuto ricorrere al giudice amministrativo per vederselo riconoscere». Il tutto, ha detto Sandulli, in nome della vulgata secondo cui «non sarebbero le stazioni appaltanti, cioè le Pa, a scrivere male i bandi tanto da esporne l’esito alle impugnazioni, ma i giudici a frapporre indebitamente ostacoli». Scrivere bene i bandi sarebbe possibile, se ci si affidasse a tecnici esterni. Ai professionisti e, rispetto al rischio contenzioso, in particolare agli avvocati. Invece si è venduta la “semplificazione” sugli appalti senza dare peso al valore della competenza dei magistrati e a quella degli avvocati, i quali potrebbero prevenire le complicazioni e far risparmiare tempo. Un paradosso che il “Salone della Giustizia” concluso ieri a Roma ha avuto il merito di far emergere, ma che finora non sembra aver scalfito più di tanto l’attenzione di governo e Parlamento.