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Maria Masi
Dispiace, ancora una volta, dover stigmatizzare quanto affermato sugli avvocati da esponenti di spicco del potere giudiziario italiano, per i quali la colpa della lentezza della giustizia in Italia sarebbe da attribuire al numero "eccessivo" di avvocati che rallenterebbero i tempi e la durata dei processi e renderebbero inefficace ogni proposta di riforma sul tema. Ripetutamente si tende a puntare il dito contro gli avvocati, colpevoli di essere "troppi". Siamo costretti perciò a replicare, chiedendo conto di un'analisi che non sembra, nei numeri e soprattutto nei fatti, corretta e obiettiva. L’avvocatura, per vocazione e convinzione, rispetta le tesi di chiunque, nella rigorosa applicazione del principio dialettico, e quindi anche quelle che oggi mi si chiede di commentare. Ma a me pare che, ancora una volta, nella continua ricerca del colpevole sbagliato, si perda l’opportunità di fornire un contributo utile al dibattito sulla giustizia. Il numero ‘eccessivo’ di avvocati, sempre che ci si intenda in maniera corretta sull'aggettivo ‘eccessivo’, può far male solo all’avvocatura, non con riferimento alla qualità della prestazione professionale ma sicuramente alla sua sostenibilità, e non certo alla giustizia e meno che mai ai cittadini, i quali hanno maggiori risorse da cui attingere e a cui dovrebbero riconoscere gli adeguati compensi per l'attività da svolgere in difesa dei loro diritti. Le sanzioni che sono state comminate all’Italia sono sempre riconducibili alla mancata applicazione o all’errata applicazione di norme. L'equo indennizzo per l’eccessiva durata dei processi non viene riconosciuto se il processo è rallentato per fini meramente dilatori. Sarebbe interessante acquisire i dati relativi a fondate condanne per lite temeraria ma non se ne fa mai menzione nelle analisi che si sprecano, forse perché il dato può considerarsi trascurabile ai fini statistici. Non è dato, quindi, comprendere come il numero elevato di avvocati possa moltiplicare le cause e ancora meno come possa incidere sul numero delle impugnazioni senza voler considerare i filtri, inaccettabili, che inevitabilmente rischiano di limitare l’attività del difensore da svolgere nell'esclusivo interesse della difesa dei diritti e, come tale, a garanzia di una funzione che è pubblica al pari della magistratura. Se si avesse l’onestà intellettuale di riconoscere che le cause dell’eccessiva durata dei processi devono ricercarsi altrove (carenza di giudici, di organico amministrativo, di risorse economiche, di accentramento giudiziario), forse riusciremmo ad evitare gli effetti della denegata giustizia che noi avvocati non dobbiamo immaginare perché li conosciamo bene essendo chiamati ad assolvere anche alla funzione di tramite nel rappresentare fatti e diritto per la parte assistita al giudice e consentirgli, così, di amministrare la giustizia in nome del popolo italiano. L’avvocatura dovrà sicuramente ripensare in maniera costruttiva l'accesso alla professione, la formazione, il suo ruolo e le sue funzioni rendendosi capace di interpretare il cambiamento senza snaturarsi ma anzi nel solco dell’identità riconosciuta dalla Costituzione. Etica, competenza e responsabilità, sono componenti indefettibili di qualsiasi percorso professionale, princìpi ai quali l’avvocato è da sempre chiamato a rispondere. L’auspicio è che nel progetto di riforma della magistratura si valorizzino gli stessi princìpi anche per i giudici e insieme, avvocati e magistrati, contribuire all’efficienza del servizio giustizia, come più volte sottolineato dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella: “decisiva per la qualità e per lo sviluppo della nostra vita democratica”.