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Doug Emhoff, marito di Kamala Harris
In Italia l’avvocatura si batte per un principio, soprattutto in campo penale, spesso travolto dagli eventi o, per meglio dire, dalla volgarità del mainstream: si tratta del principio per cui non si può confondere l’avvocato con i reati contestati al suo assistito. Ma l’attacco a un così naturale assioma, sul quale di fatto si regge la stessa libertà nelle democrazie, è diventato un’odiosa abitudine, coltivata dalla parte della società del tutto indifferente alla Costituzione così come dai più populisti dei leader politici, e persino dalla stampa. Nonostante la stampa dovrebbe sentirsi unita proprio all’avvocatura nella difesa dei diritti inviolabili.
È una deriva grave. Che sembrava affliggere solo settori poco attenti dell’opinione pubblica, certo non marginali in termini “numerici”, ma almeno poco impegnati politicamente. Ma negli ultimi dieci anni, in Italia, la degenerazione si è estesa, in modo graduale, subdolo, e intollerabile, al potere, alla politica, a volte addirittura al legislatore: basti pensare all’ex presidente della commissione parlamentare Antimafia Nicola Morra che voleva distinguere con un “bollino blu” i penalisti “puliti”, non assimilabili, per qualche imprecisato sospetto o per qualche scelta professionale, ai criminali che, come prevede la Costituzione, hanno diritto alla difesa al pari di chiunque altro.
E fin qui siamo in Italia. In America, negli Stati Uniti, e con forme decisamente più degradate in altri Paesi – che d’altronde nessuno pretenderebbe di assimilare alla “più grande democrazia del mondo” –, avviene qualcosa di diverso, almeno in apparenza. Ci si scaglia contro la cosiddetta “militarizzazione del sistema giudiziario e della professione legale”, secondo la formula coniata nelle scorse settimane all’atto di regolare i conti (letteralmente...) con alcune grandi law firm, con i colossi della difesa. In particolare, la “militarizzazione dell’avvocatura” è stata contestata a Willkie Farr & Gallagher, il super brand dei servizi legali la cui sede californiana è diretta dal marito di Kamala Harris, Doug Emhoff.
La contestazione di “The Donald” è impegnativa, iperbolica, forse paradossale ma anche inquietante, come riferisce in modo più dettagliato l’articolo firmato da Gennaro Grimolizzi: un vero e proprio “partisan lawfare”, un “uso strumentale e fazioso della legge per danneggiare qualcuno”.
Siamo, evidentemente, al corto circuito cognitivo. Ma in fondo anche alla sofisticazione di una deriva, descritta, in queste pagine, pure in riferimento a Ungheria, Turchia e Iran, secondo una progressione discendente di tenuta dello Stato di diritto.
La difesa legale come “attacco”, come abuso “strumentale e fazioso”. L’avvocato come potentissimo manipolatore. Come potere occulto, eminenza grigia. Insidia della sovranità popolare, minaccia per chi, come Trump, è democraticamente eletto. Ribaltamento giudiziario della volontà espressa nelle urne, insomma. Vi ricorda qualcosa?
Non sfuggirà, forse, come slogan simili assomiglino terribilmente alle accuse che, solo una quindicina d’anni fa, Silvio Berlusconi ancora rivolgeva ai magistrati italiani. Con una differenza, per fortuna dell’Italia, rispetto a Trump: il Cavaliere non riuscì in alcun modo a limitare l’autonomia e l’indipendenza dei magistrati italiani. Trump invece ha colpito la libertà degli avvocati americani. Con forme in apparenza, o forse anche nella sostanza, meno cruente di quanto abbiano fatto Erdogan con gli avvocati turchi e gli ayatollah con chi in Iran esercita (esercitava) la professione legale, a cominciare da Nasrin Sotoudeh.
Oltreoceano l’abilità consiste anche nel nascondere l’intimidazione dietro i “memorandum”. Dopodiché il business dei servizi legali non può reggere a questa forma di criminalizzazione, e “patteggia”. Si accorda. Regala a Trump milioni di dollari in consulenze e assistenza assicurate gratuitamente, pro bono, all’amministrazione.
Non sfuggirà però, si diceva, che la criminalizzazione dell’avvocatura c’è comunque, ed è appena, malamente mascherata con l’ipocrita pretesto di volontà popolare minacciata da chi cerca, o ha cercato, come sostiene Trump a proposito di Willkie Farr & Gallagher, di ostacolare la volontà sovrana degli elettori. Non è che Berlusconi dicesse cose diverse ma, appunto la Costituzione italiana e l’ordinamento giudiziario non ne hanno patito attacchi sostanziali. D’altra parte, l’insidia delle insinuazioni rivolte dal potere politico a chiunque, magistrati o avvocati, eserciti un potere o una funzione giudiziaria, fa parte di una polemica diffusa, di squilibri sistemici in parte reali, e che hanno scosso il dibattito pubblico anche in Paesi assolutamente immuni da rappresaglie alla Trump come la Francia.
Ma non si può tacere un punto chiave: la polemica nei confronti di chi, come l’avvocatura, assume un mandato su impulso dei cittadini è diversa dal caso della magistratura, che esercita una funzione per conto dello Stato. Con l’attacco agli avvocati “nemici del popolo” si realizza un ipocrita, capzioso attacco alla libertà dei cittadini. Dietro la scusa della volontà popolare minacciata dalla “militarizzazione” della professione forense, dal “partisan lawfare” appunto, si nasconde il più stomachevole degli inganni: perché, in realtà, si arriva semplicemente alla privazione – inflitta ai cittadini, alle persone – della libertà di far valere i propri interessi, di difendere i propri diritti. È una deriva del populismo, una forma sofisticata, evoluta, ma non per questo meno ingannevole.
E siamo costretti a tornare al principio, all’Italia. Agli insulti e alle minacce rivolte ai penalisti, soprattutto, che osano assumere la difesa di persone accusate per reati particolarmente odiosi, come la violenza sessuale. Si tratta di un pattume indistinto, che si accumula essenzialmente in quella terra di nessuno a cui si riducono spesso i social network. Ma appunto, siamo sicuri che la politica, il potere, non c’entrino nulla, con queste degenerazioni? Siamo sicuri che i “bollini blu” di cui sopra non siano sostanzialmente analoghi alla logica di Trump? Davvero le liste degli avvocati “immuni” o la fatwa emessa da Luigi Di Maio contro i giudici autori della sentenza sui vertici di Autostrade per la tragedia del bus precipitato da un viadotto della Napoli-Bari sono semplici abusi della propaganda, e non piuttosto limitazioni del diritto di difesa e, quindi, in ultima analisi, attacchi alla libertà dei cittadini? E soprattutto, cosa c’è di così lontano fra la maliziosa associazione operata, dai media ma anche dai politici, degli avvocati italiani ai mafiosi loro assistiti, con i siluri di Trump all’avvocatura “militarizzata”? Nel secondo caso, c’è solo la differenza, non così decisiva, che anziché confondere i delitti presunti degli imputati con la professione dei loro difensori, si calpestano i diritti dei cittadini attraverso gli ostacoli agli avvocati che quei cittadini difendono. Ma la distinzione fra i due casi è davvero fragile. L’ipocrisia, e la sostanziale violenza consumata sui principi democratici, sono molto simili.
L’Avvocatura dunque è, sì, in pericolo nei Paesi scivolati in dittature conclamate. Lo è certamente in contesti come quello turco o nel regime degli ayatollah, in cui le libertà sono apertamente soppresse. Ma l’Avvocatura è in pericolo anche in una grande democrazia come quella degli Stati Uniti d’America. In forme diverse, con effetti e conseguenze meno cruente. Ma il pericolo esiste. E può non essere un caso che a Washington, come a Budapest, per non parlare di Ankara, ci si trovi di fronte ad assetti istituzionali in cui la concentrazione del potere è forte, pur in un quadro di indiscussa (come negli Usa) o almeno formale (come in Turchia) coerenza costituzionale. I sistemi presidenziali possono essere – anche se non lo sono in modo ineluttabile, come dimostra la Francia – più esposti a una limitazione delle prerogative dell’avvocatura? Sembra di sì. La professione forense diventa un ostacolo per chi aspira a un esercizio del potere il meno controllato possibile, a scolorire la democrazia in forme più o meno inquinate di “democratura”.
È un allarme diverso dal solito. Nuovo, per diversi aspetti. Risolto con compromessi milionari, almeno per ora. Ma non per questo meno inquietante rispetto al valore per cui l’avvocatura, da sempre e in tutto il mondo, esiste: la libertà dei cittadini.