«Per la prima volta dopo oltre trent'anni di attività forense sono costretto a rinunciare alla difesa di un cliente», afferma l’avvocato milanese Davide Steccanella, difensore di Renato Vallanzasca, appresa la notizia che il Tribunale di sorveglianza del capoluogo lombardo ha nuovamente rigettato qualche giorno fa sia la domanda di liberazione condizionale che quella per il ripristino del regime della semilibertà per l’ex bandito della Comasina. «Rinunciare alla difesa di un cliente è un gesto doloroso che metto tra le esperienze più avvilenti e frustranti», prosegue Steccanella che fra i suoi assistiti annovera anche il terrorista Cesare Battisti. Nell’ultimo provvedimento di rigetto, il Tribunale di sorveglianza scrive che ogni richiesta è prematura in quanto è necessario «un percorso graduale» e manca «la prova del ravvedimento».
La storia di Renato Vallanzasca
Vallanzasca, classe 1950, dopo una iniziale detenzione al Beccaria e in altri istituti di reclusione minorile, venne arrestato la prima volta a 19 anni nel 1969 e una seconda volta agli inizi del 1972, rimanendo in stato di detenzione fino alla prima evasione del luglio del 1976.Riarrestato a febbraio del 1977, è poi rimasto ininterrottamente, tranne per i 20 giorni all’ulteriore evasione del luglio del 1987, in situazione di carcerazione totale, fino alla concessione della semilibertà ad ottobre 2013. Quindi per 36 anni.
La semilibertà si interruppe a giugno del 2014 quando Vallanzasca venne arrestato in flagranza a seguito di un taccheggio in un supermercato a Milano.«E’ un arco temporale detentivo di 47 anni che va dal 1972 al 2019, con un intervallo complessivo di meno di un anno per le due evasioni degli anni Settanta e di otto mesi di semi-libertà: un record italiano», aggiunge Steccanella, ricordando che quando Vallanzasca iniziò la detenzione «presidente Usa era Nixon e dell’URSS Breznev, era in pieno corso la guerra del Vietnam e due Paesi confinanti col nostro (Grecia e Spagna) vivevano ancora sotto il giogo di dittature militari di stampo fascista».Vallanzasca è stato condannato a quattro ergastoli e 295 anni di reclusione. Fra i reati, concorso in omicidio, evasione, sequestro di persona, furto, detenzione e uso di armi, tentato omicidio, lesioni, rapina, associazione per delinquere.
L'odissea giudiziaria di Renato Vallanzasca
«Il presidente del Tribunale di sorveglianza di Milano (Giovanna Di Rosa, già componente del Csm, ndr) gode della mia massima stima, ma quanto accaduto nel caso in oggetto dimostra l’assurdo di un sistema organizzativo», puntualizza Steccanella, sottolineando in particolare come il continuo turn over fa si che «ogni singolo magistrato che si trova quel giorno in udienza adotti decisioni che quello successivo disattende, risultando quindi incomprensibili». «Il primo volle il rapporto carcerario, il secondo manco lo citò, il terzo rinviò per l’alloggio, il quarto volle una sentenza vecchia di 45 anni e il quinto ne suggerisce la rinuncia e io mi arrendo», il laconico commento del penalista milanese.«Ho assolto per oltre quattro anni con il massimo impegno e senza alcun compenso al solo fine di consentire per una persona che aveva trascorso 50 anni in carcere il rispetto della nostra Costituzione che, contrariamente alla vulgata, non prevede che si debba “marcire in galera” per un tentato furto di biancheria intima di sei anni fa», aggiunge l’avvocato di Vallanzasca. «Vallanzasca è sopravvissuto alla propria leggenda malvagia, non ridiamogli lustro creando un simbolo della detenzione, tornare alla normalità è la sua richiesta e concedergliela è la vera vittoria di uno Stato democratico, che non può e non deve aggrapparsi alle leggende: un Paese civile premia il sopravvissuto a 50 anni di galera», conclude quindi Steccanella. E il diretto interessato? «Voglio essere utile ai giovani, mandatemi in una comunità»: così pochi giorni prima del rigetto delle istanze Vallanzasca aveva scritto ai giudici milanesi. E a chi gli contestava di non aver mai chiesto perdono alle vittime o ai parenti di queste, «io dico per l' ennesima volta, la mia è una decisione mirata proprio perché trattasi del Silenzio Che Si Deve Come Il Massimo Rispetto Per le Vittime». Scritto proprio così, con le maiuscole.