Roma, 13 apr. (Adnkronos) - Il ''gruppo criminale Casamonica, operante nella zona Appio-Tuscolana di Roma, con base operativa in vicolo di Porta Furba’’ è organizzato in una ‘galassia’, ossia aggregato malavitoso costituito da due gruppi familiari dediti ad usura, estorsioni, abusivo esercizio del credito, nonché a traffico di stupefacenti, dotato di un indiscusso ‘prestigio criminale’ nel panorama delinquenziale romano, i cui singoli operavano tuttavia in costante interconnessione e proteggendosi vicendevolmente, così da aumentare il senso di assoggettamento e impotenza delle vittime, consapevoli di essere al cospetto di un gruppo molto coeso ed esteso’’. E’ quanto scrivono i giudici della Corte d’Appello di Roma nella sentenza con cui lo scorso novembre hanno confermato l’accusa di mafia per il clan Casamonica. Una sentenza che ha confermato l’impianto accusatorio esposto dal sostituto procuratore generale Francesco Mollace, con i pm Giovanni Musarò e Stefano Luciani applicati nel procedimento che ha anche accolto il ricorso della procura su quattro posizioni riconoscendo il 416bis, escludendo soltanto l’aggravante di essere un’associazione armata. I giudici spiegano che ''oltre alle dichiarazioni dei collaboratori Cerreoni e Fazzari, sono risultati illuminanti al fine di affermare la sussistenza del sodalizio mafioso i riscontri provenienti da alcune intercettazioni’’ tra cui una che risale all’ottobre 2000 in cui Giuseppe Casamonica, parlando a una guardia giurata a cui era stata richiesta la somma di 130mila euro per la restituzione di un ciclomotore rubato ‘’chiedeva a Casamonica come comportarsi per evitare problemi in un ambiente commerciale per lui sconosciuto e si sentiva rispondere ‘A Roma ci stanno i Casamonica e basta’’. ‘’Che non si trattasse di spacconate o di affermazioni di portata largamente esagerata, come sostenuto dalle difese degli imputati’’ scrivono i giudici, ci sono anche le ‘’deposizioni delle persone offese dai numerosi reati di usura ed estorsione, apparsi in dibattimento inizialmente reticenti perché spaventati delle conseguenze negative della propria deposizione’’. ‘’Naturalmente tali denunce non sono mai state spontanee ma sono faticosamente scaturite dalle convocazioni delle persone offese dagli investigatori’’ sottolineano i giudici di Appello. Nella sentenza si sottolinea come il clan Casamonica godesse di un ‘’prestigio ed un carisma criminale che hanno remota datazione, se è vero che dagli atti del processo denominato ‘Mafia Capitale’ è emerso che Massimo Carminati aveva coinvolto proprio Luciano Casamonica nelle attività di sgombero del campo nomadi di Castel Romano, attività che si era svolta senza ostacoli perché Casamonica, soggetto avente carisma riconosciuto dai componenti la comunità sinti, era riuscito a vigilare su costoro’’. I giudici nelle motivazioni di Appello citano anche il ‘summit’ che si tenne nel dicembre del 2017 in un ristorante di Grottaferrata, alle porte di Roma a cui parteciparono Salvatore Casamonica, Fabrizio Piscitelli, alias ‘Diabolik’, il capo ultrà ucciso il 7 agosto 2019 al Parco degli Acquedotti, e l’avvocato Lucia Gargano con l’obiettivo di siglare la pax da tra gli Spada, famiglia egemone di Ostia, e il gruppo criminale capeggiato da Marco Esposito, detto ‘Barboncino’. Per quel fatto Casamonica è stato condannato a 16 anni mentre l’avvocato Gargano è stata condannata in abbreviato a 6 anni e 8 mesi per concorso esterno in associazione mafiosa. Nella sentenza di secondo grado sui Casamonica, i giudici scrivono che l’obiettivo dell’incontro, ‘’realizzare una tregua nelle ostilità tra bande rivali, dipendeva in particolare dall'efficacia dell'azione di mediazione di Casamonica, riconosciuto dai presenti quale soggetto autorevole, essendosi esplicitamente offerto, insieme a Piscitelli, come garante del buon fine dell'accordo, nel silenzio ossequioso dei presenti’’. Siffatta legittimazione è sintomatica della partecipazione di Casamonica – concludono i giudici - ad una comune cultura criminale (di stampo mafioso) connotata da regole condivise e accettate da tutti, espressione del ruolo riconosciuto a lui e al gruppo di appartenenza nell'ambito del mondo criminale della Capitale’’. Dopo la sentenza di primo grado, che aveva comminato 44 condanne per oltre 400 anni carcere, in Appello la condanna più alta, a 30 anni, è andata a Domenico Casamonica, ai vertici del clan romano. Condanne pesanti anche per Massimiliano Casamonica 28 anni e 10 mesi, 24 anni a Pasquale Casamonica, 26 anni e 2 mesi a Salvatore Casamonica, 15 anni e 8 mesi a Liliana Casamonica, 16 anni e 2 mesi a Giuseppe Casamonica, 16 anni e 6 mesi a Guerrino Casamonica. Al maxiprocesso si era arrivati dopo gli arresti compiuti dai carabinieri del Comando provinciale di Roma nell’ambito dell'indagine 'Gramigna', coordinata dal procuratore aggiunto della Dda Michele Prestipino e dai sostituti procuratori Musarò e Luciani.
Casamonica: giudici Appello, 'clan esteso e coeso, vittime assoggettate e impotenti'
13 aprile, 2023 • 17:20