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Se non è uno psicodramma poco ci manca. Perché l’ultima puntata del terremoto interno alle toghe si è arricchito di una nuova frattura, quella tra Nicola Morra e Piercamillo Davigo, presidente della Commissione parlamentare antimafia il primo, ex consigliere del Csm il secondo. Lo strappo si è consumato a distanza, ancora una volta all’interno di uno studio televisivo. Intervistato da Giovanni Floris, a Di Martedì, l’ex pm ha smentito le dichiarazioni rilasciate da Morra solo poche ore prima, dallo studio di Massimo Giletti: «Non gli ho mostrato nessun verbale», ha tuonato Davigo, avvisando l’ex premier Matteo Renzi che presto lo avrebbe querelato per quella battuta sul suo supposto giustizialismo ad intermittenza. La colpa di Renzi sta tutta in una frase: «Non sono Davigo, giustizialista con gli avversari e divulgatore di notizie con i parlamentari amici», ha detto il leader di Italia Viva. E la querela è servita, perché Davigo nega di aver mai mostrato a Morra i verbali dell’ex avvocato esterno dell’Eni Piero Amara, quelli contenenti le dichiarazioni sulla presunta loggia “Ungheria” e sulla presenza, tra i tanti nomi, di quello di Sebastiano Ardita, anche lui consigliere del Csm e punto di riferimento, assieme a Davigo, della politica giudiziaria di Morra. Il senatore, ieri, non ha mancato di replicare, ribadendo quanto già affermato non solo in tv, ma anche ai pm di Roma: «Ho ascoltato e riletto attentamente quanto ha affermato il dottor Davigo - ha riferito all’Adnkronos -, ma non ho altro da aggiungere se non ribadire che confermo quanto riferito all’autorità giudiziaria». La smentita dell’ex consigliere del Csm è stata secca, senza ammissione di repliche, dura. «Il senatore Morra, presidente della commissione Antimafia, è venuto da me e voleva in quel momento parlare con Ardita, con il quale avevo interrotto i rapporti perché in passato si erano verificati alcuni fatti che avevano fatto venire meno il rapporto fiduciario - ha spiegato Davigo -. Morra voleva che parlassimo insieme con Ardita, siccome insisteva, l’ho preso in disparte e gli ho chiesto di uscire dalla mia stanza. Non gli ho fatto vedere alcun verbale per la semplice ragione che il senatore Morra dice che non gli ho detto di che Procura si trattava. Ora si dà il caso che sui verbali c’è scritto su ogni foglio qual è la Procura». Quei verbali, com’è noto, sono al centro della guerra interna alla Procura di Milano: è stato il pm Paolo Storari (ora indagato a Brescia per rivelazione del segreto d’ufficio) a consegnarli a Davigo, lamentando un’inerzia nelle attività d’indagine attribuita al suo capo, il procuratore Francesco Greco, che avrebbe ritardato l’iscrizione degli indagati sull’apposito registro, per non danneggiare, secondo le ipotesi, il processo Eni-Nigeria, chiusosi a marzo con assoluzioni. Così, anziché seguire le vie ufficiali previste - la lamentela sarebbe dovuta arrivare alla procura generale di Milano e al comitato di presidenza del Csm -, tutto è avvenuto all’ombra, con l’intento, ha spiegato Davigo, di proteggere le indagini. Ma ora è proprio l’ex pm di Mani Pulite ad essere finito nel mirino, con l’accusa di aver divulgato informazioni segrete, comunicando il contenuto di quei verbali a Morra. Accusa che Davigo ha respinto con forza, smentendo, in questo caso, il suo amico Morra. «Gli ho spiegato che oltre alle altre ragioni per cui non volevo parlare con Ardita c’è anche una questione che potrebbe riguardare una associazione segreta. E gli ho ricordato che nella sua qualità di pubblico ufficiale, come presidente dell’Antimafia, era tenuto al segreto. Non l’ho detto al bar, l’ho detto al presidente della commissione Antimafia - ha spiegato -. Ho fatto di tutto per mantenere segreti questi verbali. È folle pensare che possa c'entrare con la loro divulgazione. Non ho divulgato un bel niente. Sono rimasto basito per i fatti che sono accaduti: se è stata la mia segreteria, non me ne capacito. Mi sembrava di assoluta affidabilità, era una funzionaria del Csm ed ha sempre avuto da tutti parole di elogio». Marcella Contrafatto, ex segretaria di Davigo, è infatti accusata dalla procura di Roma di calunnia per aver spedito quei verbali a Repubblica e Fatto quotidiano, nonché al consigliere del Csm Nino Di Matteo, che ha poi svelato tutto nel corso del plenum, denunciando un attività di dossieraggio ai danni di Ardita. Tornando alle lamentele di Storari, «l’iscrizione della notizia di reato deve avvenire immediatamente dice il Codice, non è che il pubblico ministero può decidere di non procedere. Se decide di non procedere deve chiedere l’archiviazione al giudice - ha evidenziato Davigo -. Storari mi disse che era seriamente preoccupato perché da mesi sono state raccolte dichiarazioni gravi, gravissime se false, e che non era stata ancora iscritta la notizia di reato. Innanzitutto mi chiese un consiglio. Io gli consigliai di mettersi al riparo dai guai che sarebbero finiti sulla sua testa, mettendo per iscritto al procuratore quello che finora aveva detto verbalmente, cioè che bisogna iscrivere. Cosa che lui mi ha assicurato di aver fatto con diverse mail. Non si poteva seguire la via ordinaria perché non poteva mandarla al procuratore, visto che era la persona con cui aveva il dissenso, il procuratore generale non c’era, la sede era vacante, e nella mia esperienza è difficile che il reggente prenda decisioni che creino situazioni irreversibili. Nell’ipotesi migliore avrebbe detto “aspettiamo che arrivi il nuovo procuratore generale”. Lui - ha aggiunto Davigo - aveva già detto molte volte che bisognava iscrivere e l’iscrizione non avveniva. All’inizio di maggio vado a Roma, chiedo a Storari se l’iscrizione era avvenuta e lui mi dice di no. Allora chiamo il vicepresidente del Csm e lo prego, appena arriverà a Roma, di contattarmi perché gli devo parlare di una cosa urgente e importante». Secondo quanto riferito dall’ex pm, il vicepresidente del Csm David Ermini avrebbe ricevuto i verbali, circostanza che il numero due di Palazzo dei Marescialli ha finora sempre smentito, ribadendo che l’unica via da seguire era quella ufficiale. E avrebbe informato anche il procuratore generale della Cassazione, Giovanni Salvi - che a maggio 2020 ha contattato Greco, ottenendo, poco dopo, l’apertura del fascicolo con l’iscrizione di tre persone sul registro degli indagati - e il primo presidente Pietro Curzio. Sulla credibilità di Amara, invece, Davigo è chiaro: «Sarà anche stato screditato ma fino a quel momento, e anche dopo, la Procura di Milano lo ha ritenuto attendibile sia in una relazione che ha fatto sia indicandolo come teste in un importante processo». Secondo Davigo, sarebbe stato impossibile seguire le vie formali. «L’importante era informare il Consiglio - ha concluso -. Non era possibile attivare una pratica immediatamente per una ragione semplicissima, perché nelle dichiarazioni erano indicati come appartenenti a questa associazione segreta due componenti del Consiglio. Si sarebbero dovute convocare commissioni e consigli escludendo queste persone per la necessità di mantenere il segreto. Tanto che nessuno dei componenti del comitato di presidenza, compreso il procuratore generale (Salvi ndr) si è sognato di dirmi di formalizzare». Intanto a Roma, la difesa di Contrafatto ha dubbi sulla contestabilità del reato di calunnia. «La calunnia - spiega Alessia Angelini, avvocato della dipendente del Csm - ha come elemento costitutivo quello di incolpare di un reato qualcuno che si sa innocente. L’altro punto è che non sono stati messi a disposizione della difesa gli atti d’indagine o, quantomeno, i famosi verbali, che sono in mano a tutti i giornali, ma non nelle nostre. Secondo noi c’è una gravissima lesione del diritto di difesa. Mi sembra oggettivamente certo un elemento: la questione del presunto ritardo dei vertici della Procura di Milano è un punto controverso, perché Storari e Davigo sostengono che per 13 mesi non ci sia stata alcuna indagine su questa loggia e il procuratore Greco che sostiene il contrario». Contrafatto è accusata di calunnia nei confronti di Greco perché nel dattiloscritto allegato ai verbali sarebbe contenuta l’accusa al procuratore di aver tenuto tutto chiuso in un cassetto. Contrafatto, nel corso del primo interrogatorio, si è avvalsa della facoltà di non rispondere, ma si è detta disponibile a partecipare a tutti gli accertamenti. E forse saranno proprio le sue parole a fare un po’ di chiarezza su una vicenda intricatissima.