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«C’è una novità sgradevole, introdotta con le norme sulle intercettazioni da oggi concretamente in vigore. Solo adesso cominceremo a misurarne la portata. Da una parte la spazzacorrotti aveva, indebitamente, già posto i reati di corruzione sullo stesso piano di quelli commessi dai mafiosi. Dall’altro le norme appena operative consentono un uso delle intercettazioni anche al di fuori della rigorosa cornice che in linea di principio dovrebbe regolarle: ossia anche per reati diversi da quello per cui si procede, per i quali dunque manca l’autorizzazione del giudice, e che non sono connessi a quello di partenza. Lungo una via simile rischiamo di mettere ulteriormente in crisi il sistema costituzionale, in una fase in cui, anche per la materia oggetto del referendum, è già assai a rischio».
Giovanni Maria Flick, presidente emerito della Corte costituzionale, non parla di taglio dei parlamentari. Ne ha già detto in altri interventi. Si preoccupa invece di intercettazioni, e di come il peso dei trojan, ingigantito dalle norme da oggi operative, concorra all’indebolimento delle istituzioni democratiche. Tanto da poter arrivare a «incidere su principi cardine della nostra democrazia».
Presidente Flick, lei dice che le intercettazioni possono sfuggirci di mano?
Vorrei partire da un aspetto centrale: l’emendamento proposto in Senato e, nel febbraio scorso, inserito nel testo definitivo durante la conversione del decreto. Prevede che le intercettazioni realizzate con i trojan possano essere utilizzate anche in procedimenti diversi da quello per il quale erano state autorizzate. Anche senza che vi sia connessione fra il reato incidentalmente emerso e quello per accertare il quale si era chiesta al giudice l’autorizzazione. Già qui si spalanca un rischio rilevante: la conversazione privata diventa un bersaglio vulnerabile. Ed è cosi tanto più se si considera che la flessibilità, per così dire, d’uso del trojan introdotta da quell’emendamento non riguarda solo i reati di criminalità organizzata ma appunto anche quelli legati alla corruzione, che non possono essere equiparati certo alla violenza del crimine organizzato.
Molti magistrati non la pensano come lei.
Ma molti altri cominciano invece a pensarla come il sottoscritto. Un conto è la cosca che si avvale anche della corruzione. In quel caso il reato contro la Pa viene comunque commesso in un contesto criminale minaccioso, ed è comprensibile anche la pervasività del trojan come di altri strumenti investigativi. Ma la circostanza che anche la mafia si serve della corruzione non può certo giustificare il perseguimento della corruzione addebitata a chi mafioso non è con le stesse regole previste per il primo contesto.
Mi scusi: in astratto l’uso del materiale captato col trojan ai fini dell’accertamento di un reato diverso sarà ora consentito anche nel senso che, a partire da un’intercettazione su tutt’altre vicende, ne può derivare l’apertura di un nuovo fascicolo, un nuovo procedimento penale?
No, non è esattamente così. Però le norme sono molto complicate e l’ultimo decreto intercettazioni compie il miracolo di esasperare l’intreccio. Ebbene, si possono immaginare i rischi relativi proprio all’incertezza delle possibili interpretazioni che una tale confusione lascia ai magistrati. Già tale indeterminatezza è in sé una minaccia per il rispetto delle garanzie costituzionali.
Perché è a rischio la Costituzione?
Non è a rischio in sé, ma si è troppo sottovalutato l’articolo 15, posto dai padri costituenti a presidio della comunicazione del singolo con un’altra singola persona o con più persone determinate. Si tratta di una tutela a beneficio della personalità, dell’identità stessa del singolo che deve essere libero del proprio silenzio così come delle proprie parole. È un profilo di libertà parallelo e altrettanto rilevante rispetto alla libertà sancita all’articolo 21, relativa alla comunicazione pubblica. La violazione del perimetro tracciato dall’articolo 15 a me pare ormai evidente, anche in conseguenza dell’ultimo provvedimento.
Ad essere spiata non è più la singola persona ma la democrazia stessa?
In un certo senso è proprio così. La libertà del singolo riguarda anche il singolo uomo delle istituzioni, esposto alla contestazione di reati relativi al rapporto con la pubblica amministrazione. Altri, tra i quali il direttore dell’Huffington post, si sono soffermati sulla lesione della riservatezza intesa nel suo significato anche nostalgico: prima, il cassetto personale era un limite oltre il quale non ci si poteva spingere. L’ordinamento e la prassi affermavano il rispetto per la sfera privata più intima. Non è più così. Anche perché ci siamo messi in testa di dover conoscere tutto sull’affidabilità, l’integrità personale, morale di una persona che svolge funzioni pubbliche. Non è l’intercettazione lo strumento più adatto ad accertare quei requisiti. Abbiamo a disposizione l’accertamento degli illeciti disciplinari o deontologici. Ma non possiamo spiare nel cassetto dell’uomo pubblico pur di verificarne la credibilità, tanto per restare nella metafora che altri hanno proposto.
La trasparenza è un totem che viene prima di tutto?
La trasparenza è un principio che concorre con altri all’equilibrio di un sistema democratico, non è l’unico bene assoluto supremo. Adesso rischia di diventarlo. Anzi, lo è già diventato: con le nuove regole sulle intercettazioni e in particolare sul trojan lo sarà ancora di più. Ma attenzione: il riferimento non è solo o soprattutto alla divulgazione delle intercettazioni operata dai media.
Non è quello lo snodo decisivo?
È un problema, ma non è il solo problema. Prima del comportamento dei media viene la questione strettamente connessa all’attività giudiziaria. Al potere delle indagini e dunque all’equilibrio che viene compromesso attraverso l’indebolimento del principio di segretezza delle comunicazioni personali sancito all’articolo 15.
Chiarissimo. Anche perché la sofisticazione degli strumenti tecnologici è incontrollabile.
Lo è ed è ancora un ulteriore aspetto, forse centrale, del discorso. Con l’ultimo decreto intercettazioni abbiamo spalancato la breccia nella libertà d’uso del materiale captato, in particolare col trojan. La tecnologia può sfuggire ulteriormente di mano: dovremmo essere noi a controllarla ma rischiamo di finire per essere controllati noi dalla tecnologia. D’altra parte non possiamo escludere negligenza o peggio in chi abbia il compito di interrompere la registrazione e poi di riprenderla di fronte a situazioni non consentite, come pure preve con buona volontà la legge.
Andare a caccia di corrotti col virus spia: c’è proporzione tra i fini e i mezzi?
Tra i reati per i quali è consentito in generale l’uso delle intercettazioni, ce ne sono alcuni previsti in virtù del fatto che sono commessi proprio con modalità tecnologiche, e quindi è necessario accertarli anche attraverso la tecnologia. Poi gli altri si individuano in base alla loro gravità. E torniamo all’insostenibile equiparazione fra mafiosi e corrotti, utile solo ad aprire la breccia e mettere alcuni principi cardine a rischio.
Il pericolo non è solo di essere messi alla gogna sui giornali ma di essere comunque spiati.
Con le nuove intercettazioni rischiamo di avanzare nella erosione di principi essenziali del nostro sistema, dei diritti inviolabili che dovrebbe tutelare. Lo si fa in un contesto che non privilegia la serietà di tali minacce ma l’interesse sociale contingente, l’ansia di assicurare strumenti per il perseguimento dei reati tipici di determinate categorie. Siamo di fronte alla stessa alterazione che anima le campagne contro la concessione dei domiciliari, ai detenuti di mafia, per gravi motivi di salute. I giudici applicano il codice e l’articolo 32 della Costituzione, anche se possono sbagliare, ma è come se per alcuni non debba essere la Carta a stabilire i principi. È un sentiero in cui di principi davvero tutelati rischiamo di non trovarne più molti.