Con ordinanza depositata il 6 aprile 2020, la Corte d’Appello di Palermo ha liquidato a favore del dottor Bruno Contrada, assistito dall’avvocato Stefano Giordano del foro di Palermo, la somma di euro 667.000,00 a titolo di riparazione per l’ingiusta detenzione patita nel procedimento penale già oggetto della nota pronuncia della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e della successiva sentenza della Corte di Cassazione. «Riteniamo - dichiara Giordano - che la pronuncia della Corte d’Appello sia perfettamente in linea con la decisione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e ne dia la giusta esecuzione: al di là del quantum liquidato, la Corte d’Appello – con un provvedimento libero e coraggioso – ha statuito che Bruno Contrada non andava né processato, né tanto meno condannato e che, dunque, non avrebbe dovuto scontare neppure un solo giorno di detenzione, disattendendo le obiezioni della Procura Generale e dell’Avvocatura dello Stato. Ci riserviamo ora di esaminare attentamente il provvedimento, per valutare eventuali spazi per l’impugnazione avanti la Corte di Cassazione». Da ricordare che l’istanza accolta dalla Corte D’Appello trova titolo nella sentenza della Corte di Cassazione del 2017, con la quale – in ottemperanza di quanto statuito dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nel 2015 – è stata dichiarata ineseguibile e improduttiva di effetti la sentenza con cui la Corte d’Appello di Palermo aveva a suo tempo condannato Contrada a dieci anni di reclusione per il reato di concorso esterno in associazione di tipo mafioso. Contrada è stato tratto in custodia cautelare in carcere il 24 dicembre 1992 (all’età di sessantuno anni) e vi è rimasto sino al 31 luglio 1995, quando la misura è stata revocata (nel corso del processo di primo grado) per le precarie condizioni di salute dell’imputato. A seguito dell’intervenuta irrevocabilità della sentenza di condanna, l’11 maggio 2007 è entrato in carcere per l’espiazione della pena di dieci anni di reclusione. Il 24 luglio 2008, sempre in ragione delle sue sempre più gravi condizioni di salute, gli è stata concessa la detenzione domiciliare.Il 12 ottobre 2012 (grazie allo “sconto” di due anni di pena per buona condotta), Bruno Contrada (all’età di ottantuno anni) è stato rimesso in libertà, dopo una dolorosa vicenda processuale durata vent’anni e dopo avere trascorso, complessivamente, quattro anni in carcere e quattro anni agli arresti domiciliari. Contrada ha subito anche danni biologici, perché durante la detenzione il suo stato di salute si è aggravato, tanto da essere ricoverato, più volte, all’ospedale. Sia per problemi di salute fisica, ma anche psichica.Da ricordare che la sua incompatibilità con il regime detentivo è stata cristallizzata nel 2014 dalla sentenza della Corte europea dei diritti umani (Cedu) che ha accertato la violazione, da parte dello Stato italiano, dell’articolo 3 Cedu che vieta di sottoporre alcuno a trattamenti inumani o degradanti. La stessa Corte aveva rivelato che Contrada era “affetto da diverse patologie gravi e complesse”. Ma i danni subito si sono anche riversati nei confronti dei suoi familiari. Il figlio più piccolo ha avuto ripercussioni sulla sua autostima, tanto da abbandonare il suo lavoro come agente di polizia, non credendo in sé e nemmeno nello Stato che amava servire come il padre. Era un ventitreenne agente della polizia penitenziaria all’epoca dell’arresto del padre, a tale evento ha reagito con incredulità e sgomento, tanto da cominciare, in preda a uno stato confusionale, ad assumere alcolici (finché il fratello più grande non gli ha intimato di interrompere). Una vita, la sua, rovinata per sempre. Così come la moglie di Contrada, morta purtroppo a gennaio dell’anno scorso. Una donna – insegnante di liceo – che si era vista crollare improvvisamente e definitivamente il mondo addosso dal momento in cui suo marito, colui che era suo compagno di vita da quasi quarant’anni è stato tratto in arresto. Lei si è trovata brutalmente gettata nel ruolo di capo- famiglia, diventando l’unico punto di riferimento dei due figli, ma anche del marito visto che l’ha dovuto supportare emotivamente.