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«Giovanni Falcone non credeva alla mia colpevolezza, egli stesso mi disse che ha dovuto procedere ugualmente nei miei confronti per via delle pressioni che ricevette». Così l’ex capo dei nuclei armati rivoluzionari ( Nar) Valerio Fioravanti, contattato da Il Dubbio, spiega il motivo per il quale, nei confronti suoi e dell’altro ex Nar Gilberto Cavallini, il giudice Giovanni Falcone aveva spiccato un mandato di cattura per l’omicidio dell’allora presidente della regione Sicilia Piersanti Mattarella. Il sei gennaio ricorre il 40esimo anniversario della morte di Mattarella. A colpirlo, è un giovane che lo attende in prossimità dell'uscita del garage dal quale si appresta ad uscire alla guida della sua Fiat per recarsi ad assistere alla messa. I primi a soccorrere Mattarella è il fratello Sergio, l’attuale presidente della Repubblica. È lui a tirarlo fuori dall’abitacolo ancora agonizzante. Lo tiene in braccio, gli regge la testa, si aggrappa al suo ultimo brandello di vita e versa le prime lacrime quando cessa definitivamente di respirare.
Per Giovanni Falcone quegli anni sono molto difficili. Una data cruciale è il maggio del 1990. Milioni di italiani sono incollati alla tv a guardare la puntata di Samarcanda, il programma di Rai3 condotto da Michele Santoro. Si parla di mafia e prende la parola il sindaco di Palermo Leoluca Orlando: «Io sono convinto, e me ne assumo tutte le responsabilità, che dentro i cassetti del Palazzo di Giustizia ce n’è abbastanza per fare chiarezza su questi delitti». Il delitto è quello Mattarella e i “cassetti” sono quelli dell’ufficio di Falcone. Si parla anche del coinvolgimento degli ex Nar e dietro le spalle dei presenti c’è la gigantografia di Valerio Fioravanti. «Qualche giorno dopo la trasmissione – racconta Fioravanti a Il Dubbio – Falcone viene da me al carcere di Rebibbia dove ero recluso, fa uscire la sua scorta e i collaboratori dalla stanza, e dopo avermi chiesto se avevo bisogno di un avvocato mi dice “Lei ha visto la televisione? Capisce che se io non procedo divento anche io un sodale della P2?” Questa è la spiegazione data per cui Falcone ha dovuto fare il mandato di cattura nei miei confronti». In realtà Fioravanti ha raccontato questo episodio, sentito come teste, anche durante il processo per la strage di Bologna dove è imputato Cavallini.
Ma è possibile? Eppure in questi giorni la commissione Antimafia ha reso pubblico il verbale integrale dell’audizione di Falcone davanti alla commissione dell’epoca, datato 3 novembre 1988, dove parla proprio della pista “nera” per l’uccisione di Mattarella. Non ne ha parlato con enfasi, ma con cautela. Di certo, da lì a poco, - lui e altri suoi colleghi - spiccheranno un mandato di cattura nei confronti di Fioravanti e Cavallini. Ma, contestualmente, Falcone ha anche inquisito Giuseppe Pellegriti e Angelo Izzo per calunnia aggravata. Non è da poco, perché parliamo di due pentiti che secondo Falcone hanno depistato l’inchiesta.
«Le indagini hanno finalmente rilevato in maniera inequivocabile come sia stato in realtà Angelo Izzo la vera fonte e ispiratore delle false rivelazioni di Pellegriti», scrive Falcone nel suo ultimo atto da procuratore aggiunto, prima di volare a Roma al ministero di Grazia e Giustizia. Ma chi avevano accusato come esecutore materiale del delitto Mattarella? Proprio l’ex Nar Fioravanti. Nell’ 89 Falcone ha già capito tutto. Dopo aver incriminato per calunnia aggravata Pellegriti, ha firmato con le stesse motivazioni anche un mandato di cattura per Izzo che invece era ritenuto credibile dal magistrato Libero Mancuso, l’allora Pm che indagava sulla strage di Bologna. Falcone ritiene di aver individuato in Izzo uno di quei misteriosi personaggi che si sono serviti di Pellegriti per sollevare un polverone. L'estremista di destra, condannato all'ergastolo per il massacro del Circeo, è stato anche uno dei principali accusatori di Fioravanti e Francesca Mambro nel processo per la strage di Bologna.
Ed ha indicato ancora Fioravanti come killer di Mattarella. Dai magistrati bolognesi le sue rivelazioni sono sempre state prese sul serio, nonostante abbia in più occasioni fornito ricostruzioni lacunose e confuse. Izzo aveva anche suggerito a Cristiano Fioravanti di accusare il fratello Valerio. In un interrogatorio reso a Roma, il fratello di Fioravanti afferma di essere stato convinto da Izzo a parlare dei delitti Mattarella e Pecorelli.
Egli, interrogato in merito alle accuse rivoltegli da Izzo, relative a un suo possibile coinvolgimento nell'omicidio di Mino Pecorelli, ha fornito una spiegazione di tale chiamata in reità traente origine dai rapporti che Izzo cercava di allacciare con Raffaella Furiozzi ( ex Nar), già sua fidanzata, dichiarando testualmente: «Mi viene da pensare che mi abbia accusato proprio per “eliminare il suo rivale in amore”».
Falcone, a proposito del depistaggio, dirà qualcosa di più nel ’ 91 davanti al Csm. Parliamo di quel famoso interrogatorio subito dopo le accuse di Leoluca Orlando, Alfredo Galasso e Carmine Mancuso dell’allora movimento politico antimafia “La rete”. Gli chiedono spiegazioni del perché aveva inquisito Pellegriti e Izzo. Falcone, dopo aver ripercorso tutti i fatti, ha anche aggiunto: «Prima di interrogare Pellegriti ci sono state tutte una serie di strane frequentazioni del personaggio, poi ci sono stati dei convegni carcerari in cui certe persone hanno incontrato Pellegriti e continuano ad alzare il polverone».
Il dato oggettivo è che il processo sui delitti eccellenti poi c’è stato e gli stessi pubblici ministeri hanno chiesto l’assoluzione degli ex Nar Fioravanti e Cavallini. Saranno infatti assolti definitivamente anche in Cassazione, mentre verranno condannati Totò Riina assieme ai sei mafiosi, compreso Izzo e Pellegritti per calunnia. D’altronde tutti i pentiti mafiosi ascoltati durante il processo hanno confermato che gli esecutori appartenevano alla cupola. Interessante ciò che disse Buscetta alla commissione Antimafia e ribadito poi durante il processo sui delitti eccellenti: «Le garantisco che i fascisti in questo omicidio non c’entrano. Quei due sono innocenti. Glielo garantisco. E chi vivrà, vedrà. Credo che Mattarella in special modo volesse fare della pulizia in questi appalti. Se andate a vedere a chi sono andati gli appalti in tutti questi anni, con facilità voi andrete a scoprire cose inaudite. Non avevano bisogno di due fascisti. La Cosa nostra non fa agire due fascisti per ammazzare un presidente della Regione. È un controsenso. Non esiste questa possibilità. E quei due accusati sono innocenti».
Ma quindi Falcone era convinto della responsabilità degli ex Nar, oppure è vero ciò che ha raccontato Fioravanti a Il Dubbio “sul fatto che non ci credeva affatto? C’è il libro postumo “Cose di Cosa Nostra” dove la giornalista francese Marcelle Padovani ha raccolto le interviste fatte a Falcone. In un passaggio sui delitti eccellenti, così risponde Falcone: «(…) né è poi pensabile, conoscendo le ferree regole della mafia, che un omicidio ' eccellente', deciso al più alto livello della Commissione, venga affidato ad altri che a uomini dell'organizzazione di provata fede, i quali ne avrebbero dovuto preventivamente informare solo i capi del territorio in cui l'azione si sarebbe svolta». Qui sembrerebbe che Falcone indirettamente scagioni gli ex Nar.
Dal 2018 la procura di Palermo ha riaperto le indagini rispolverando la pista “nera” per il delitto Mattarella. L’ultima notizia, data con molta enfasi, riguarda l’ipotesi che la pistola usata dall’ex nar Cavallini per uccidere il giudice Mario Amato, sia la stessa che avrebbe ucciso Mattarella. In realtà non sono riusciti a dimostrarlo.
Piersanti Mattarella era il presidente della regione Sicilia, le sue prime azioni erano volte al rinnovamento, puntando soprattutto sulla trasparenza dell’aggiudicazione degli appalti. Avrebbe dato un duro colpo al giro d’affari miliardario di Cosa nostra. Per questo, e non solo, Totò Riina ha deliberato la sua morte.