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Il procuratore di Milano Francesco Greco finisce nel mirino dei magistrati del Sud. Ai togati meridionali non sono affatto piaciute le parole che Greco aveva pronunciato parlando del caso Palamara: «È un mondo che non ci appartiene, che non appartiene soprattutto ai magistrati del Nord, e che vive negli alberghi e nelle retrovie della burocrazia romana».
INel caso non fossero state sufficienti le parole riportare tramite il micidiale cellulare- spia dell’ex presidente dell’Anm Luca Palamara, ecco che arrivano quelle di Francesco Greco, procuratore di Milano, a rendere ancora di più incandescente il clima nella magistratura italiana.
«Abbiamo dovuto conoscere, apprendere nelle sue logiche di funzionamento e che ci ha lasciati sconcertati e umiliati, perché ci chiedevamo: “beh, in fondo noi abbiamo lavorato come tanti magistrati, riteniamo che per anzianità, per meriti, per alcuni risultati ottenuti e per le nostre potenzialità ancora inespresse possiamo fare questo tipo di domande ( al Csm, ndr)” e invece poi capisci che le logiche sono altre», ha affermato mercoledì scorso Greco, commentano le vicende che in questi giorni hanno terremotato il Consiglio superiore della magistratura.
«Quel mondo che vive nei corridoi degli alberghi e nelle retrovie della burocrazia romana e che non ci appartiene e non appartiene ai magistrati del Nord, ci ha lasciato sconcertati», ha poi rincarato la dose il procuratore di Milano, stigmatizzando l’ormai celeberrimo dopo cena del 9 maggio scorso all’hotel Champagne di Roma, fra i deputati dem Cosimo Ferri e Luca Lotti e alcuni togati del Csm.
Incontro conviviale dove si sarebbero decisi i destini dei vertici di alcuni uffici giudiziari del Paese. A partire dalla Procura di Roma. Appena le agenzie hanno riportato le dichiarazioni di Greco, si sono surriscaldati gli animi delle toghe sulla questione “etnico- geografica” da lui sollevata. Anche perché il procuratore di Milano ha un cognome che molto difficilmente riesce a nascondere le sue origini campane.
Alcuni magistrati si sono sentiti offesi. «Ci sono magistrati bravi dappertutto indipendentemente dal luogo in cui operano», afferma un magistrato in servizio a Roma. «Mi sento offeso», gli fa eco un collega di Catania. In tanti, però, si sono lasciati andare all’ironia, domandandosi se Greco «fosse stato nominato da un Csm composto solo da magistrati del settentrione» o se «pur essendo napoletano, l’aver lavorato a lungo in tribunale del Nord comporta automaticamente il superamento del “deficit” dovuto alle origini meridionali».
Va ricordato che, secondo alcune statistiche, circa l’ 82% dei magistrati italiani è nato sotto il Po. Ma forse il vero senso delle parole di Greco è colto da quel magistrato che fa presente che non c’è alcuna pregiudiziale etnica- geografica, ma solo una «critica aspra alle dinamiche tipiche della Capitale», ben fotografate dal film La grande bellezza del premio Oscar Paolo Sorrentino.
Come diceva, infatti, Palamara parlando con un togato del Csm nel corso delle conversazioni intercettate tramite il trojan, ricordando la fatica che aveva sopportato negli anni per presenziare agli eventi mondani in cui politici, magistrati, alti burocrati dello Stato, fra un cacio e pene e un bicchiere di vino di Frascati, discutevano dei massimi sistemi della Repubblica.
Un “attovagliamento”, come direbbe Roberto D’Agostino, che è tipico della Capitale e segna la distanza con Milano. Dove il confine fra il pour- parler e la millanteria è quanto mai labile. E i colloqui incriminati che hanno costretto alle dimissioni i quattro consiglieri del Csm ne sono la dimostrazione plastica.