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«Sono emotivamente scosso, ma non so cosa altro fare. Affronterò il processo, così avrò la possibilità di dimostrare la bontà delle mie azioni». Non trova le parole Mimmo Lucano, sindaco sospeso di Riace, ieri rinviato a giudizio assieme ad altre 26 persone nell’inchiesta “Xenia”. Per loro il processo inizierà l’11 giugno davanti al Tribunale di Locri, come deciso dal gup Amalia Monteleone dopo sette ore di camera di consiglio. Poco prima della sospensione dell’udienza, l’avvocato Andrea Daqua, difensore di Lucano assieme al collega Antonio Mazzone, aveva chiesto il non luogo a procedere perché il fatto non sussiste e in subordine per non aver commesso il fatto sia per il sindaco sia per Lemlem Tesfahun. «Mi difenderò nel processo e non dal processo», aveva dichiarato Lucano pochi giorni fa, alludendo alla scelta del ministro dell’Interno Matteo Salvini di avvalersi dell’immunità parlamentare. Lo stesso ministro che ha deciso di costituire il Viminale parte civile nel processo. Il sindaco sospeso dovrà ora attendere il 18 aprile, data in cui è fissata l’udienza davanti al Tribunale del Riesame di Reggio Calabria, per sapere se potrà affrontare il processo tornando a vivere nella sua casa a Riace, in attesa di un nuovo pronunciamento sull'obbligo di dimora imposto dal Riesame ad ottobre. Le accuse contestate dalla procura di Locri sono, a vario titolo, associazione a delinquere, truffa con danno patrimoniale per lo Stato, abuso d’ufficio, peculato, concussione, frode in pubbliche forniture, falso e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Accuse messe fortemente in discussione dal gip che ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare, che aveva ritenuto fondate le esigenze cautelari solo per le accuse di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e per la frode, evidenziando comunque «i fini umanitari» nell’azione di Lucano, ma anche dalla Cassazione, che a fine febbraio ha annullato con rinvio le misure cautelari che da sei mesi lo tengono lontano dalla sua Riace. E nel farlo i giudici hanno evidenziato la carenza di fatti concreti a sostegno dell’accusa di frode e del condizionamento nella scelta del soggetto a cui affidare la raccolta dei rifiuti. «Su questo capo d’accusa la Cassazione ha detto che ho agito non solo per umanità, ma secondo legge - ha detto al Dubbio - Se mi rinviano a giudizio anche per questo allora è tutto strano. La legge non vale a Locri?». Nonostante lo sconforto, Lucano ha dichiarato di voler andare avanti con coraggio. «Dimostreremo che la verità si fa luce da sola», ha aggiunto. Secondo i giudici del Palazzaccio, di indizi a supporto del dubbio di comportamenti illegali non vi sarebbe traccia. Nelle motivazioni viene anche stigmatizzato il comportamento dei colleghi reggini, che nel confermare le esigenze cautelari, si erano lanciati in «non previste valutazioni di ordine morale», basando il divieto di dimora su elementi «irrilevanti», ritenuti anche nella prima ordinanza cautelare «prive del necessario fondamento giustificativo». Così come il richiamo a presunti matrimoni di comodo poggerebbe su un quadro «sfornito di elementi di riscontro», sebbene sia valutato positivamente il ragionamento alla base della contestazione del reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Non c’è dubbio, infatti, secondo la Cassazione, che Lucano volesse aiutare Tesfahun a portare suo fratello in Italia, «probabilmente per finalità moralmente apprezzabili». Ma mentre per la Procura quello di combinare matrimoni tra cittadini di Riace e donne straniere sarebbe stato un «metodo» per garantire il permesso di soggiorno alle immigrate che chiedevano aiuto al sindaco, per i giudici della Cassazione, «il richiamo a presunti matrimoni di comodo» poggia su un quadro di riferimento «sfornito di significativi e precisi elementi di riscontro» e, addirittura, «escluso da qualsiasi contestazione formalmente elevata in sede cautelare». Il gip, nel valutare le contestazioni della procura di Locri e le indagini svolte dalla Guardia di Finanza, nell’ordinanza di custodia cautelare aveva fortemente criticato le risultanze investigative, definite prive di riscontri, talvolta in maniera anche superficiale. Sull’affidamento diretto dei servizi di accoglienza, ad esempio, il giudice parla di «vaghezza e genericità del capo di imputazione», tale da non essere idoneo «a rappresentare contestazione provvisoria alla quale validamente agganciare un qualsivoglia provvedimento custodiale». Il solo riferimento a «collusioni ed altri mezzi fraudolenti che avrebbero condotto alla perpetrazione dell’illecito si risolve in formula vuota, ossia priva di un reale contenuto di tipicità». Per il giudice non era dato capire, dalle mille pagine di richiesta presentate dalla Procura, quali motivazioni avrebbero sorretto l’ipotetica scelta di affidare i servizi senza alcuna procedura negoziale. E il giudice si era spinto oltre, parlando di «errore tanto grossolano da pregiudicare irrimediabilmente la validità dell’assunto accusatorio», laddove la Procura ipotizzava l’acquisto di derrate alimentari non destinate agli immigrati e utilizzate per fini privati, con rendiconto di costi fittizi per ricevere dal ministero dell’Interno oltre 10 milioni di euro. Ma la Guardia di Finanza ha quantificato come illegittime tutte le somme incassate, senza considerare «l’effettivo svolgimento da parte di tali enti del servizio loro assegnato», evidenziato invece dal gip. Una «marchiana inesattezza», aggiungeva il giudice Domenico Di Croce, secondo cui «gran parte delle conclusioni cui giungono gli inquirenti appaiono o indimostrabili, perché allo stato poggianti su elementi inutilizzabili (...) o presuntive e congetturali o sfornite di precisi riscontri estrinseci». Giudizio simile formulato nel caso dell’accusa di aver firmato 56 determinazioni di liquidazione false per il rimborso dei costi di gestione dei servizi Cas e Sprar. Insussistente era apparsa agli occhi del gip anche la più grave delle accuse, quella di concussione: Lucano e Fernando Capone, presidente dell’associazione “CIttà Futura”, secondo la Procura avrebbero abusato della propria posizione per costringere il titolare di un esercizio commerciale a predisporre e consegnare fatture false per 5mila euro. Ma «gli inquirenti - scriveva - non hanno approfondito con la dovuta ed opportuna attenzione l’ipotesi investigativa», fidandosi delle parole del commerciante - che avrebbe dovuto essere ascoltato in presenza di avvocato, in quanto indagato -, le cui dichiarazioni non sono mai state dimostrate. Una «persona tutt’altro che attendibile», sentenziava il giudice. Che eliminava anche dubbi sulla malversazione: i soldi dell’accoglienza, non sarebbero stati usati per «soddisfare interessi diversi da quelli per i quali erano corrisposti». Una tesi «non persuasiva, poiché congetturale». Del modello Riace, diventato famoso e studiato in tutto il mondo, ora non rimane nulla. Dopo l'arresto del sindaco, infatti, il Viminale ha smantellato nel giro di pochi mesi l'accoglienza, destinando i migranti che per anni si sono integrati, ripopolando il piccolo borgo, ad altri centri. Ed ora, dopo 15 anni di amministrazione, l'era Lucano è giunta al tramonto. A fine maggio, infatti, i cittadini torneranno alle urne e tra le liste potrebbe comparire anche il simbolo della Lega. «Non so se questa esperienza che ho vissuto lascerà un segno e in quale direzione lo lascerà - aveva commentato pochi giorni fa Lucano - Eravamo abituati ad avere un fermento culturale, un laboratorio politico, ma in pochi mesi tutto è cambiato. La mia impressione è che quello che ha preoccupato è non tanto il modello Riace ma il messaggio politico che porta dietro. Perché a Riace l’accoglienza non è neutrale. Io verrò giudicato dai tribunali, ma non ho più paura di nulla, la mia vita sta tutta qua. Non ho altri supporti se non quelli di chi mi vuole bene. E sono contento di aver condiviso questo ideale».