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Mentre la Corte d’appello di Perugia assolve Ottaviano Del Turco dall’accusa di associazione a delinquere, il Senato si accinge ad approvare il ddl sui piccoli comuni. Del Turco viene da uno di questi, Collelongo, nell’Aquilano. Ha preso la licenza media alle scuole serali, se n’è venuto a Roma, si è fatto le ossa con la fatica e da sindacalista vero, che può parlare della fatica altrui perché conosce la propria. Forse per questo i giudici non gli avevano creduto, in primo e in secondo grado. E forse per questo i compagni che con l’ex governatore dell’Abruzzo avevano fondato il Pd, lo avevano scaricato il giorno stesso dell’arresto, nel luglio del 2008. Del Turco ha il volto scavato dell’operaio di provincia, non il profilo levigato della sinistra borghese. Di chi, come Walter Veltroni, nel pieno della tormenta gli disse: «Spero riuscirai a provare la tua innocenza».
Secondo la Corte d’appello di Perugia, dunque, è certo che Ottaviano Del Turco, da presidente della Regione, non ha fatto parte di alcuna associazione a delinquere. Nel ultimo rivolo del processo sulla cosiddetta Sanitopoli abruzzese, innescato dal rinvio della Cassazione, i giudici hanno fatto cadere il capo d’imputazione più odioso e ricalcolato la pena in 3 anni e 9 mesi. «Cade in modo rovinoso e definitivo l’intero impianto della Procura», commenta a caldo il difensore di Del Turco, Gian Domenico Caiazza. Non c’è la rete associativa. Restano cinque asseriti casi di induzione indebita a dare o commettere utilità. Episodi in cui l’ex governatore avrebbe ricevuto denaro dal suo unico accusatore, l’ex re delle cliniche Vincenzo Angelini. Ha preso quei soldi per favorire l’imprenditore? Ha modificato la politica sanitaria regionale per ricambiare le generose dazioni? Niente di tutto questo. «Del Turco continuò a fare un sedere così ad Angelini». Allo straordinario avvocato Caiazza si potrà perdonare il francesismo. I cinque episodi corruttivi restano dunque sospesi nel nulla, ma restano e non avrebbe potuto essere altrimenti. La Corte d’appello di Perugia era stata chiamata dalla Cassazione solo a decidere se c’era l’articolo 416. Non avrebbe potuto rivalutare nel merito le altre accuse.
L’ASSOCIAZIONE A DELINQUERE? UN FANTASMA
Cade l’associazione a delinquere, «perché il fatto non sussiste», anche per gli altri quattro imputati “rinviati”, come Del Turco, davanti al giudice di secondo grado. Si tratta dell’ex segretario della Presidenza all’epoca della giunta Del Turco, Lamberto Quarta, dell’allora capogruppo della Marghertita in Consiglio regionale Camillo Cesarone, degli ex assessori alla Sanità Bernardo Mazzocca e alle Attività produttive Antonio Boschetti. Il sistema organizzato non c’è più. E non si capisce appunto, come facciano a esserci i singoli 5 illeciti residui, di induzione indebita da parte di Del Turco nei confronti di Angelini. «Viene meno la struttura stessa dell’accusa», spiega il difensore. Non a caso ora l’ex governatore e i suoi legali dicono: «Non è finita qui, adesso andiamo per la revisione del processo». In modo da cancellare tutto.
OTTAVIANO NON ASCOLTA LA LETTURA DELLA SENTENZA
Lui, Ottaviano, è a Perugia ma non se la sente di stare in aula al momento della pronuncia. C’è suo figlio Guido, giornalista del Tg5, che in questi casi è la sua ombra. E l’avvocato Caiazza. Sono loro due ad abbracciarlo e a comunicargli che un altro pezzo di incubo si è dissolto. Persino l’interdizione dai pubblici uffici è stata ridimensionata a 5 anni, da che era “perpetua”. «Resta quello schizzo di fango esiziale», lamenta il difensore. Le cinque induzioni indebite. Niente rispetto ai 24 capi d’imputazione contestati nel 2008 dalla Procura di Pescara. Troppe, anzi, tutte intollerabili dal punto di vista di chi si professa innocente.
STORIA DI UN PROCESSO, E DI UN ACCUSATORE, ROMANZESCHI
ll 14 luglio di 9 anni fa Del Turco viene arrestato con le accuse di corruzione, concussione, truffa, falso e associazione a delinquere. La Sanitopoli abruzzese nasce coi botti. Finisce in carcere un’altra decina di persone tra consiglieri regionali, assessori e alti funzionari dell’Amministrazione. Tutto gigantesco. Ma sorretto da un solo, unico pilastro: Vincenzo Angelini appunto. Accusa tutti, e Del Turco più di tutti, di avergli sfilato tangenti per 5 milioni e 800mila euro. Contati. Solo per Del Turco i capi d’imputazione sono 24, una quindicina riguardano appunto le mazzette all’ineffabile imprenditore. Fanno, in primo grado, una condanna a 9 anni e 6 mesi. Si va in appello e, nel novembre 2015, il conto è assai più che dimezzato. Oltre all’associazione a delinquere, restano in piedi solo 5 dei capi d’imputazione relativi alle asserite tangenti. Il precedente conto virtuale e immaginario di quasi 6 milioni si riduce a 600mila euro. La condanna scende a 4 anni e 2 mesi. Cadono le accuse sui reati “strumentali”. Nel caso di Del Turco il falso, per gli altri imputati gli abusi d’ufficio. E già lì il colpo all’impianto accusatorio è letale. Intanto perché le 5 dazioni sopravvissute del governatore a Angelini si reggono praticamente tutte su quella, leggendaria per così dire, della busta piena di mele con cui il magnate sanitario viene via da casa Del Turco a Collelongo, dopo averla svuotata di bigliettoni. La prova? Foto della busta coi bigliettoni, foto della busta con mele, foto sfocatissima che ritrae due figure indistinguibili. Sembra Fantozzi. È la prova regina, anche per la Corte d’appello dell’Aquila, che almeno quella mazzetta è passata nelle mani dell’ex presidente. Il quale quel giorno, il 2 novembre 2007, era a casa, ma con ospiti istituzionali che non ricordano affatto la misteriosa visita. Sopravvivono altre 4 dazioni per “riverbero” dalla prima. Secondo la impegnativa costruzione della sentenza di secondo grado, sono vere perché sarebbe provata quella delle mele e perché, anche in questi altri quattro casi, i riscontri dei passaggi Telepass forniti da Angelini non sono chiaramente improponibili. «Prima di Del Turco la Regione Abruzzo sfrondava la spesa sanitaria per 50mila euro l’anno di ‘ inattività inappropriate’, con lui si è arrivati in 3 anni a tagliarle per 100 milioni di euro: ora capite da dove nasce questo processo?», urlò inutilmente Caiazza davanti ai giudici d’appello.
LA PRONUNCIA CHE LA CASSAZIONE TROVA “ILLOGICA”
Si arriva in Cassazione. Non si possono più rivedere i cinque episodi di induzione indebita: la Suprema corte non è giudice di merito. Ma può, e lo fa, rilevare che l’accusa di associazione a delinquere è illogica, così come formulata dalla sentenza di secondo grado: non ci sono i reati strumentali di falso e abuso, ci dite allora come funzionava quest’associazione a delinquere che non produceva alcunché? Ecco perché il 3 dicembre dell’anno scorso la Cassazione annulla la pronuncia d’appello con rinvio, per competenza, ad altra Corte, quella di Perugia. Va riformulato con altri presupposti o cancellato il reato associativo.
IL LAPSUS DEL PG CHE CHIEDE UNA PENA TROPPO BASSA
Siamo a ieri, quando puntualmente l’associazione a delinquere cade per tutti, a cominciare da Del Turco. Nel suo caso ai 4 anni e 2 mesi della condanna precedente vengono sottratti i 3 mesi del articolo 416, ed ecco il rideterminazione di 3 anni e 9 mesi. Ma vorrà dire, vorrà pur dire qualcosa, il fatto che il sostituto procuratore generale Giuliano Mignini non solo chieda di cancellare quel capo d’ imputazione e rivedere così complessivamente al ribasso tutte le condanne; ma che nel formulare la richiesta per Del Turco esageri addirittura.
Mignini chiede di portarla a 1 anno e 9 mesi. «È un errore, purtroppo, solo un errore tecnico, perché il minimo per l’induzione indebita è 3 anni e poi c’è l’asserita continuazione del reato», commenta Caiazza in attesa della sentenza.
Quel lapsus però resta. «Ben rappresenta quale sia anche da parte della Procura generale l’apprezzamento di gravità del fatto che residua rispetto all’indagine di 9 anni fa». Nulla, appunto. Solo un ultimo schizzo di fango.