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cassese giudice
«Così come viene oggi esercitato da singoli magistrati o dall’Associazione nazionale dei magistrati, il diritto di manifestare il proprio pensiero travalica la separazione e l’equilibrio dei poteri». A Sabino Cassese non sfugge l’anomalia italiana. Il paradosso di una magistratura che si fa opposizione politica. Il giudice emerito della Corte costituzionale, ex ministro della Funzione pubblica e tra gli accademici italiani più ascoltati, ne parla col Dubbio dopo un fine settimana arroventato. Da una parte le “denunce” del guardasigilli Carlo Nordio su «interferenze» dell’Anm, dall’altra le repliche di Giuseppe Santalucia, che del “sindcato” delle toghe è presidente e che rivendica il diritto a criticare con asprezza la riforma penale. Sullo sfondo, il precipitato di una contrapposizione antica, che risale forse al conflitto senza quartiere fra l’Anm e i governi di Berlusconi. «È probabile che quel conflitto continui ad avere un peso», osserva Cassese. Che però esprime ben altra preoccupazione, o quanto meno perplessità di fronte a un assetto in cui «il principio della separazione dei poteri e quello di indipendenza della magistratura non sono rispettati».
In altri Paesi la magistratura non sembra esprimersi attraverso un soggetto politico forte qual è la nostra Anm: quella italiana è un’anomalia sopportabile o va superata?
Anche dove esistono organizzazioni nazionali di magistrati, queste non si esprimono continuativamente e su tutte le questioni che hanno attinenza diretta o indiretta con la gestione del potere. In altre parole, rispettano l’obbligo di riservatezza e la separazione dei poteri.
Ma l’onnipresenza e il peso dell’Anm nel dibattito italiano sulla giustizia deriva anche da un impoverimento della classe dirigente politica? In altre parole, la dialettica aspra dell’Anm con i governi può costituire un utile “surrogato” o è costituzionalmente blasfema?
Farei una diagnosi diversa dalla sua. Penso che i problemi generali del funzionamento dello Stato e quelli particolari della giustizia siano nel nostro Paese analizzati a sufficienza e in modo imparziale. Contribuiscono a tale analisi le relazioni per l’inaugurazione degli anni giudiziari, le statistiche giudiziarie raccolte dal ministero della Giustizia e dall’Istat, il Consiglio superiore della magistratura, la cultura giuridica in generale. Inoltre, queste voci sono sufficientemente ascoltate dell’opinione pubblica, perché ottengono tutte un adeguato risalto dei media. L’Associazione nazionale della magistratura vi può contribuire perché, secondo l’articolo 21 della Costituzione, tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altri mezzo di diffusione.
Tuttavia i magistrati debbono anche tener conto del fatto che esercitano, a norma dell’articolo 102 della Costituzione, la funzione giurisdizionale, che deve essere imparziale, e che al Csm spettano, in base all’articolo 105 della Costituzione e secondo le norme dell’ordinamento giudiziario, che sono disposte con legge, esclusivamente “le assunzioni, le assegnazioni e i trasferimenti, le promozioni e provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati”. A tutto questo si aggiunge la necessità di rispettare il principio della separazione dei poteri. Ne deriva la necessità, per i singoli magistrati e per il corpo della magistratura, di bilanciare il necessario riserbo richiesto dall’imparzialità della funzione giurisdizionale con il diritto di manifestare il proprio pensiero. Per fare un esempio concreto, altro è la possibilità dell’Anm di esprimere la propria opinione durante un’udienza parlamentare, su richiesta di una commissione parlamentare, altro è assumere un atteggiamento battagliero, fare dichiarazioni, essere presente tutti i giorni sui media.
Alla luce del dettato costituzionale, c’è un concreto rischio di lesione dell’equilibrio e della separazione tra poteri, nell’attivismo politico e mediatico dell’Anm?
Così come viene oggi esercitato da singoli magistrati o dall’Associazione nazionale dei magistrati, il diritto di manifestare il proprio pensiero travalica la separazione e l’equilibrio dei poteri. Spetta al Parlamento dettare le norme dell’ordinamento giudiziario. Singoli magistrati o associazioni dei magistrati possono esprimere opinioni motivate e documentate. Non possono condurre vere proprie battaglie, polemiche, fare contestazioni. Se lo fanno, da un lato, vanno oltre l’esercizio della loro funzione, dall’altro assumono posizioni che non corrispondono al modello dell’imparzialità.
Sui rapporti fra Nordio e l’Anm potrebbero pesare alcuni precedenti. Il primo non ha mai fatto parte attiva della seconda, che viceversa ha deplorato a volte l’allora pm. Questo retroterra può complicare la dialettica fra governo e magistratura?
Non conosco i precedenti, e non sono in grado di valutare il peso che possono avere.
Nella tensione delle ultime ore si avverte anche un po’ il riverbero dell’ormai antico conflitto tra l’Anm e il centrodestra di Berlusconi? La scomparsa del leader di Forza Italia potrebbe agire sul piano simbolico, e favorire lo stemperarsi di questa cronica tendenza alla contrapposizione?
È probabile che quel conflitto continui ad avere un peso. Preoccupiamoci ora tuttavia, del futuro. Penso che un atteggiamento di singoli magistrati e del corpo dei magistrati più composto, meglio motivato, più documentato, meno battagliero, più distaccato, possa giovare non solo al buon funzionamento della giustizia in Italia, ma anche al modo in cui l’imparzialità della magistratura è percepita dall’opinione pubblica. Bisogna evitare che si abbia l’impressione che esiste un “partito dei magistrati”. Se questo accade, sorge subito la domanda successiva: il “partito dei magistrati” agisce in funzione del buon funzionamento della giustizia, oppure opera strumentalmente alla difesa di sfere di potere della magistratura o dei singoli magistrati? A questo va aggiunta la necessità che la magistratura diventi veramente indipendente. La condizione di questa indipendenza è che non partecipi agli altri poteri dello Stato, quello esecutivo-governativo e quello legislativo. Se una quota così cospicua di magistrati è impegnata nelle amministrazioni, a partire dal ministero della Giustizia, nei gabinetti ministeriali, nelle autorità indipendenti, che sono corpi appartenenti ad altri poteri dello Stato, il principio della separazione dei poteri e quello di indipendenza della magistratura non sono rispettati e, come dichiarava una delle prime Carte costituzionali francesi, uno Stato che non ha una separazione dei poteri non ha una Costituzione.