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Le segnalazioni sugli atteggiamenti sessualizzati del piccolo N.? Venivano dalla scuola. E quelle sulla muffa a casa dei minori C. ed S.? Dall’Asl. Nel processo sui presunti affidi illeciti in val D’Enza meglio noto come “Angeli& Demoni” continuano a venire fuori pezzi di storia rimasti taciuti. Una storia che finora era stata raccontata solo a senso unico, con il teorema dei servizi sociali “cattivi” interessati al giro economico attorno agli affidi (otto casi) tanto da strappare senza scrupoli i bambini alle loro famiglie. Ma le testimonianze raccolte ieri dal Tribunale di Reggio Emilia, dove sono comparsi i primi due genitori di bambini coinvolti nel caso, comincia a far venire fuori un quadro diverso. «Sono emerse prove che smentiscono la falsità delle relazioni su alcuni punti che avevano fatto scalpore. La procura è partita da un teorema e sono stati acquisiti solo quei pochi e scarsi elementi utili allo stesso, trascurando le prove oggettive e documentali», ha dichiarato Oliviero Mazza, difensore, assieme a Rossella Ognibene, dell’assistente sociale Federica Anghinolfi, principale imputata del processo.
Il teste più significativo è stato la madre di N., che dichiarato di non aver mai avuto contezza di alcun problema relativo alla situazione del figlio. Una situazione ottimale, ha dichiarato, fino all’intervento dei servizi sociali. Ma i comportamenti del bambino sono stati segnalati e monitorati per tre anni - dal 2013 al 2016 - dalla scuola, che in una relazione ha raccontato il progressivo peggioramento del suo comportamento, fatto di agiti sessuali su se stesso e sui compagni, nonché difficoltà nel controllo degli sfinteri, iperattività e aggressività. La donna, dopo aver negato le segnalazioni, ha minimizzato quanto certificato dai documenti, che però non sono mai finiti nell’ordinanza di custodia cautelare. «Sono atti recuperati dalle difese e ignorati dalla procura ha evidenziato Mazza - ed obiettivamente preoccupanti, perché indici di un disagio».
Stando alla relazione, il bambino era solito toccare se stesso e i compagni nelle zone intime, affermando, su richiesta degli insegnanti, che si trattava di un gioco praticato col fratellastro, assieme ai baci, «quando vanno a letto». Gli insegnanti hanno comunicato ad entrambi i genitori la situazione, riportando «con chiarezza i continui costanti e preoccupanti peggioramenti del comportamento si legge nel documento -, i frequenti comportamenti masturbatori verso se stesso e verso gli altri e la grossa regressione rispetto ai controllo degli sfinteri. In quella sede è stato più volte sottolineato che il livello di preoccupazione è alto». Affermazioni che avevano lasciato «sconvolta» la madre. Ma i genitori, secondo le conclusioni della scuola, «sembrano essere “affettivamente poco preoccupati” ed emotivamente poco protettivi e contenitivi verso» N.
Il Tribunale dei minori aveva prescritto che il bambino e il fratellastro non si vedessero insieme, prescrizione trasgredita dai genitori, che hanno consentito ai due di andare in campeggio insieme senza comunicarlo ai servizi sociali. La notizia emerse solo dopo mesi, quando i bambini lo confidarono a scuola. Da qui e dal peggioramento degli episodi, il Tribunale dei minori ha disposto l’affido di N. ad un’altra famiglia. Il bambino era finito al centro del racconto mediatico, a seguito dell’accorata lettera scritta dal nonno per rivedere il nipote. Nonno che, stando alla segnalazione della scuola, andava a prendere il bimbo «a volte non completamente sobrio». Ad Anghinolfi veniva anche contestata la violenza privata per aver costretto la madre a svelare a N. - all’epoca di 10 anni - che il marito non fosse suo padre. Un dato falso: fu la stessa donna, davanti al Tribunale dei minori, a dichiarare di aver chiesto aiuto ai servizi sociali per svelare la verità al figlio, come dimostrato ieri dai legali.
Altro testimone il padre di C. ed S., a cui i servizi sociali erano arrivati su segnalazione dei carabinieri, dopo che la Guardia medica dell’ospedale aveva certificato un presunto abuso sessuale da parte dell’uomo sulla figlia. Un abuso ipotizzato anche dalla madre. Di fronte alle dichiarazioni dell’uomo, secondo cui le condizioni della casa erano assolutamente ottimali, contrariamente a quanto dichiarato dai servizi sociali, la difesa ha tirato fuori una relazione dell’Asl che certificava come l’appartamento nuovo e privato in cui la famiglia aveva vissuto per due anni prima di passare in quello comunale fosse «antigienico e sovraffollato», nonché pieno di muffa, tant’è che era stato lo stesso uomo a chiedere l’intervento dei servizi sanitari per certificare tutto e chiedere un’altra sistemazione. «Una cosa che depone, a livello indiziario, sul fatto che avessero potuto far ammuffire anche l’appartamento successivo, un bilocale in cui vivevano quattro persone con due bambini piccoli», ha spiegato Mazza. Inoltre fu lo stesso padre, davanti al Tribunale dei minori, ad ammettere che la casa era in disordine. «La mia sensazione - ha concluso Mazza è che si stia cominciando a dimostrare la complessità e anche la problematicità delle situazioni familiari. Comunque la si voglia pensare sull’intervento dei servizi, siamo di fronte a situazioni che sono ben lontane dalla narrazione delle famiglie perfette alle quali venivano sottratti i minori. C’erano minori che avevano bisogno di assistenza e genitori che non erano in grado di offrirla».