Il passaggio della legge di Bilancio al Senato è una formalità e la lettura della seconda camera, quale che capiti di turno, lo è da un pezzo. L'Italia ha ormai sostituito in buona parte il bicameralismo con una sorta di monocameralismo alternato ma l'abitudine, per quanto riguarda le leggi di bilancio, era invalsa già da un pezzo. La manovra è definitiva ed è arrivata in porto senza traumi e solo con quale sommesso battibecco. Non c'è da stupirsene. In ballo c'erano solo spicci e anche di quelli ce n'erano pochi.

Non significa che la manovra sia stata insignificante. La realtà è opposta. La legge di Bilancio , quanto e più delle precedenti, è fondamentale sul piano europeo : è la chiave con la quale la premier e il suo commissario europeo Fitto hanno spalancato la porta già socchiusa per la quale si accede alla “credibilità” nell'Unione. Lo schieramento privo di ambiguità sull'Ucraina aveva già fatto molto ma neppure quello sarebbe bastato senza la prova che in ultima analisi per Bruxelles resta comunque quella principale: il rigore, la scelta di sacrificare tutto sull'altare dei conti pubblici. Meloni, Giorgetti e Fitto si sono mossi con quella bussola e l'establishment europeo, fatte salve le schermaglie tra eurogruppi parlamentari, sarà lieto di farli accogliere.

Il prezzo del rigore però èesoso e rischiando forte di diventarlo ancora di più. Per certo versi l'Italia di Giorgia ricorda gli Usa di Biden. Sul fronte macroeconomico le cose non vanno affatto male, come il presidente rivendica ogni santo giorno. Ma per i cittadini la consolazione è scarsa a fronte di prezzi che restano esorbitanti e salari che annaspano . Il tasso di inflazione è invidiabile, sin troppo basso. Ma se sui generi alimentari resta al di sopra del 6% se ne accorgono in pochi e quei pochi non sono certo i più poveri. I dati registrano infatti una popolarità della premier sempre alta ma ben al di sotto, circa 16 punti, delle acclamazioni incassate al momento dell'ingresso a palazzo Chigi.

L'anno che verrà si profila difficile e forse difficilissimo. L'impatto della presidenza Trump potrebbe rivelarsi un ciclone, sia in termini di dazi che di aumento della spesa militare, la crisi in Germania lo è già e di conseguenza la produzione industriale in Italia continua a fregiarsi del segno meno da mesi e mesi. Il cappio delle regole europee è stretto e l'anno prossimo potrebbe rivelarsi soffocante. Nessuno nel governo e nella maggioranza si azzarda più a pronunciare il classico

«sarà per la prossima finanziaria». Tutti sanno che la realtà è opposta: «Non sarà nemmeno per la prossima finanziaria».

In Italia, insomma, la premier non ha carte da giocare e non solo per sua responsabilità . È dubbio anche l'eventuale successo del classico tentativo di spostare l'attenzione su altri fronti anche se la polarizzazione che sarà innescata dal probabilissimo referendum sulla separazione delle carriere e su quello possibile del 2025 sull'autonomia territoriale non mancherà di rinsaldare la tifoserie. In ogni caso doversela vedere con una situazione in confronto alla quale quella miserrima di quest'anno rischiando di apparire ubertosa costituisce comunque un rischio forte.

La possibile via d'uscita, tutt'altro che facile e anzi impervia, potrebbe essere proprio l'Europa. Nel corso del dibattito parlamentare che ha preceduto l'ultima riunione del Consiglio europeo numerosi esponenti dell'opposizione hanno riconosciuto il ruolo centrale che il presidente del Consiglio ha oggi in Europa, per la debolezza dei leader dei Paesi guida, Germania e Francia , ma anche per il rapporto con il Ppe e per la possibilità di funzionare come canale di comunicazione tra il Ppe stesso ei diversi gruppi della destra europea. Il riconoscimento era però propedeutico a un rimprovero in buona parte giustificato: quello di non sfruttare affatto la postazione per provare a modificare le politiche europee.

In quel dibattito si parla in realtà soprattutto di politica estera e su quel fronte la convergenza tra le posizioni del governo italiano e quelle della Commissione europea è totale. Ma presto sul tavolo dovranno esserci le politiche economiche, con lo sprone del rapporto di Prodi da un lato e quello di difficoltà che non sono tali solo per l'Italia ma per buona parte della Ue. Su quel tavolo Giorgia Meloni dovrà provare davvero a cambiare radicalmente le carte. Se non altro per sopravvivere.