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Il giornalista Alessandro Barbano
I fuorionda del giornalista Andrea Giambruno, ex compagno della premier Giorgia Meloni, trasmessi da Striscia la notizia e l’arresto in diretta di Silvana Saguto, ex presidente della sezione delle misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, riaccendono il dibattito sul modo di fare giornalismo nel nostro Paese che spesso confligge con il rispetto del diritto alla riservatezza e con la tutela della dignità delle persone. Ne parliamo con il giornalista e scrittore Alessandro Barbano che ci dice: «Siamo noi le vittime di quella violazione, che offende la dignità di una democrazia liberale, colpita nella sua privacy». Ormai, secondo Barbano, siamo in una «democrazia giudiziaria-mediatica».
Direttore Barbano che ne pensa della pubblicazione da parte di Striscia la notizia del fuorionda dell’ex compagno della premier Meloni?
Siamo di fronte ad una gravissima emergenza. Non ci accorgiamo più del livello di violazione dei diritti fondamentali che la democrazia subisce da un uso distorto del potere mediatico. Esiste una questione pregiudiziale che in uno Stato di diritto viene prima della valutazione del fatto.
Qual è?
Se il fine giustifica il mezzo. Ossia se la “porcata”, come l’ha chiamata sul vostro giornale Daniele Zaccaria, possa essere considerata un metodo sostenibile della comunicazione pubblica. Il giorno dopo la trasmissione di Striscia pochi giornali, e tra questi il Dubbio, si sono chiesti se sia digeribile il fuorionda di un giornalista nel contesto in cui è stato carpito. La maggior parte delle testate invece si è concentrata sul merito delle parole di Giambruno, disconoscendogli, in ragione del disdoro, lo statuto di vittima. In realtà siamo noi le vittime di quella violazione, che offende la dignità di una democrazia liberale, spiandola in uno dei luoghi più sacri, la redazione. Sacro non per un privilegio riconosciuto ai giornalisti, ma perché in quel luogo si costruisce il pluralismo. Nessuno sembra accorgersi che quel fuorionda rientra nel novero delle intercettazioni preventive, simili a quelle dei Servizi Segreti.
Ci spieghi meglio.
Le intercettazioni preventive sono eseguite senza un titolo di reato e senza l’autorizzazione di un giudice. Nella dimensione mediale coincidono con i dialoghi captati e diffusi senza una ragione informativa che non sia l’obiettivo di assumere una persona a bersaglio. La Cassazione, nella storica e ormai ignorata sentenza del Decalogo, sostiene che una notizia lesiva della reputazione di un individuo si giustifica se è vera. E già su questo si potrebbe eccepire, perché brandelli di frasi decontestualizzate non sono mai verità. Se è continente. È certamente non lo è una captazione rubata. E se è utile socialmente. E qui l’utilità sociale coincide con il principio per cui tutto ciò che è possibile sapere è giusto che si sappia. In nome dello stesso principio rivendichiamo il diritto di conoscere le intercettazioni penalmente irrilevanti, ma utili a vedere il lato oscuro dei potenti.
Ci spostiamo dal piano penale a quello morale?
Non ci sono più due piani. Ormai processo penale e processo mediatico sono la stessa cosa. C’è un travaso e una confusione di paradigmi giudiziari e giornalistici. Siamo una democrazia giudiziaria-mediatica.
Secondo Lei la famiglia Berlusconi ha voluto lanciare un messaggio alla premier?
Mi rifiuto pregiudizialmente di fare una valutazione dietrologica sul ruolo della famiglia Berlusconi in questa vicenda.
Antonio Ricci ha detto di aver fatto un favore alla premier. Che ne pensa?
Quest’affermazione racconta un delirio totalitario di onnipotenza che si commenta da sé. Ricci vuole spiegarci che l’utilità sociale del fuorionda sta nell’aver fatto sapere alla premier che viveva con un uomo inadeguato. E allora perché non applicare su larga scala questo “nobile” intento, istituendo un’Authority del Grande Fratello e nominandolo presidente? Immagini quanti utili divorzi. Senonché Ricci crede di essere un moralista, in realtà non è che un modesto tecnocrate. Quella che a lui sembra la massima espressione dell’esercizio della moralità - e quindi del fine - non è altro che l’epifania senza controllo del mezzo. Lui crede di adempiere a uno scopo qualitativo, in realtà reagisce a uno stimolo quantitativo. Ha detto che ha deciso di diffondere le battutacce di Giambruno dopo aver letto un’intervista su “Chi” che lo santificava. È una giustificazione che si dà a posteriori. La verità è che lui esiste in quanto veicola ciò che raccoglie. È simile a un anello di silicio di un circuito tecnologico fuori controllo. Perciò pericoloso.
Perché pericoloso?
Nel cosiddetto mondo dell’informazione, ma anche dell’impresa, tutti hanno paura, non so dire quanto fondata, di questo signore. Si temono rappresaglie mediatiche, perché ciascuno, anche se non ha nulla da nascondere, sa che il suo privato messo in piazza può distruggerlo. Si vive di reputazione. E quando il Grande Fratello propala il suo ultimo schizzo di fango, si rinuncia a ribellarsi, e si sta chiusi in casa in attesa che la telecamera si allontani dai paraggi. Mi chiedo quale sacrificio della libertà stiamo subendo per il timore della gogna che potrebbe scaturirne.
E come se ne esce?
Basterebbe che le leggi, i codici deontologici e le massime della giurisprudenza fossero cogenti. L’insider, la captazione dei dialoghi non li ha inventati Ricci. Altrove sono ammessi in ragione di stringenti necessità informative la cui utilità è riconosciuta e certificata dalla giurisprudenza. Il giornalismo non è mai tenero e contiene una metodologica anarchica. Ma il giornalismo non è mai sputtanamento gratuito.
Come giudica la risposta della Meloni?
Quando si sostiene che il suo gesto sia stato coraggioso, si dice un falso.
Perché?
Ha fatto ciò che avrebbe fatto chiunque nelle sue condizioni. Non aveva altra scelta, come non ebbe scelta Romano Prodi quando fu costretto a licenziare il suo portavoce che era stato filmato, mentre tornava a casa, a chiacchierare con una prostituta. Se la Meloni avesse opposto alla messa in onda una sdegnata rivendicazione della sua privacy, sarebbe stata travolta dalle critiche. Perché la democrazia giudiziaria-mediatica aveva già ammesso al processo pubblico le frasi di Giambruno. Questo slittamento totalitario, che fonde la dimensione pubblica con quella privata, rendendole perfettamente coincidenti, è già una democrazia necessitata. In cui le scelte diventano mere reazioni a stimoli. E in cui scompaiono le persone: Meloni, Giambruno, una bambina di sei anni. Ci siamo accorti che esistono le persone quando, due giorni fa, la presidente del Consiglio non si è presentata alla convention di Fratelli d’Italia. Mi chiedo quali parole abbia usato la premier per spiegare alla figlia che vive nella teocrazia dei maiali di Orwell.
A proposito di processo mediatico, come giudica l’arresto in diretta dell’ex magistrata Silvana Saguto con il figlio che si frappone tra lei e le telecamere?
Non entro sul tecnicismo della questione giudiziaria, o meglio sulla sussistenza dei requisiti per disporre l’arresto dopo una conferma parziale da parte della Corte di Cassazione della sentenza di appello. Rilevo però che la nota diffusa da piazza Cavour sembra il comunicato di un’agenzia che ha nel consenso la sua legittimazione. Tuttavia la ferocia dell’arresto sbrigativo e la traduzione in carcere dall’ospedale, dove la donna era ricoverata, con tanto di telecamere pronte a filmare - chissà chi ha avvisato i giornalisti - rispondono a due esigenze: accontentare la piazza e fare dell’ex giudice il capro espiatorio per purificare e difendere la vergogna delle misure di prevenzione. La mela marcia va esibita per poter dire che le altre mele rimaste nel cesto sono tutte sane. Perché la preoccupazione della magistratura antimafia è quella di difendere il potere dei poteri.
Quale?
Quello di confiscare patrimoni in mancanza di un giudicato o addirittura in presenza di un’assoluzione. I regimi falsificavano le prove per provare colpevolezze inesistenti e dare pena. Qui invece si dà pena senza neanche bisogno di provare colpevolezza. Un potere così si difende con i denti, anche se fa a pugni con la civiltà.