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Alexei Baranovsky
Nella Russia di Putin le misure liberticide non risparmiano neppure l’avvocatura alla quale si chiedono fedeltà ed una condotta tale da non contraddire le decisioni del capo del Cremlino. La storia che raccontiamo oggi è quella di Alexei Baranovsky, privato dello status di avvocato per aver criticato l’aggressione russa ai danni dell’Ucraina e per aver pubblicato alcuni articoli sull’esercito di Mosca. La decisione, presa pochi giorni fa, lo scorso 26 ottobre, ha tenuto conto anche dell’attività giornalistica di Baranovsky, il quale ha la doppia cittadinanza russo- ucraina.
Sull’attività di Baranovsky, attualmente in Ucraina, è intervenuto il ministero della Giustizia russo. Il legale è stato accusato di «sostenere idee contrarie ai principi base della professione forense e di un avvocato».
La Commissione di qualificazione della Camera della regione di Mosca, che ha privato dello status di avvocato Baranovsky, ha rincarato la dose, muovendo nei suoi confronti accuse molto pesanti: «partecipa direttamente al conflitto contro le Forze armate russe a sostegno delle formazioni nazionaliste ucraine». Le decisioni prese nei confronti dell’avvocato- giornalista fanno discutere in Russia per la vaghezza delle contestazioni, oltre che per la durezza del provvedimento. Alexei Baranovsky ha definito il provvedimento nei suoi confronti illegale, con il solo intento di punire una persona libera.
Ma come è scattata l’espulsione dall’Ordine degli avvocati? Tutto ha inizio nella scorsa primavera, alcune settimane dopo l’invasione dell’Ucraina, come racconta “Advokatskaya Street”, giornale online indipendente degli avvocati russi, da sempre attivo nella difesa dei diritti umani. In una lettera firmata da un certo “Boris il Buono”, inviata alla Camera federale degli avvocati, Baranovsky viene descritto come un soggetto pericoloso, «schierato attivamente dalla parte del regime nazionalista di Kiev, impegnato a diffondere informazioni deliberatamente false sulle attività dell'esercito russo». Nella Russia di Putin sono attendibili e utili i delatori, mentre chi si schiera apertamente per esporre le proprie idee, difendendo il diritto degli altri a farlo, è considerato un nemico del regime.
Baranovsky non manifesta più di tanto meraviglia rispetto alla decisione presa nei suoi confronti. «Era attesa e prevedibile», dice al Dubbio. Il legale esprime delusione per la scarsa attenzione dell’istituzione forense, allineatasi ormai alla politica. «L’avvocatura – commenta - era l'ultima istituzione indipendente della società civile in Russia, ma non esiste più. In Russia si è instaurato un regime fascista, che non ammette il dissenso. Il mio rimpianto è che i colleghi avvocati hanno sacrificato, senza combattere, l'indipendenza dell’avvocatura a favore di uno stato fascista. Pertanto, sarà necessario creare in Russia una nuova avvocatura. Ripartire da zero dopo la rivoluzione. Di questa discutibile istituzione forense, che si è sottomessa al regime fascista, non è rimasto più nulla. Penso che il prossimo anno saremo impegnati nella costruzione di un nuovo Stato, perché il regime di Putin sarà distrutto da una rivoluzione».
Sul caso Baranovsky interviene il suo avvocato Dmitry Zakhvatov (è anche il difensore della giornalista dissidente e collaboratrice del Dubbio, Marina Ovsyannikova): critica il metodo con il quale si è giunti al procedimento disciplinare. «La decisione su Baranovsky - afferma Zakhvatov – è un esempio di persecuzione politica ai danni di un avvocato per i pensieri espressi e per le affermazioni che non corrispondono alla posizione della propaganda ufficiale russa. Assistiamo all’introduzione del principio della “discriminazione legale'. Si è creato un preoccupante precedente con il quale si apre un procedimento giudiziario nei confronti degli avvocati per le opinioni filo- ucraine sugli eventi in Ucraina. A mio avviso, con la decisione a carico di Baranovsky, si nega consapevolmente e con fermezza il principio di uguaglianza, che, come scrisse Gustav Radbuch, è l'essenza della giustizia. Il principio di equità è stato oscurato dal principio di discriminazione, basato sull'atteggiamento di un avvocato di fronte allo spargimento di sangue in corso».
Zakhvatov fa appello al buon senso, ormai smarrito nella Russia di Putin, dove l’avvocatura stenta, paradossalmente, a difendere le proprie prerogative e la propria indipendenza. «Non ci vuole un avvocato – conclude - per capire che questo approccio non ha nulla a che fare con il diritto e l'etica, ed è, di fatto, arbitrario. Secondo me, si basa sulle convinzioni pro- guerra di alcuni appartenenti all’avvocatura, che stanno raccogliendo denaro per l'acquisto delle attrezzature necessarie per fare la guerra. In tali circostanze, questi membri del Consiglio non avevano diritto a partecipare al procedimento disciplinare che ha interessato Baranovsky. Sono convinto che nella professione forense non si debbano sostenere attivamente le decisioni illegali di quelle autorità che stanno portando il Paese alla catastrofe».