Il sistema penitenziario italiano continua a fare i conti con una crisi umanitaria senza precedenti. Secondo l’ultimo report del Garante Nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, pubblicato il 24 febbraio 2025, nei primi 54 giorni dell’anno si sono già verificati 11 suicidi tra i detenuti, a cui si aggiungono 10 decessi per cause da accertare e 29 morti per malattie.

È importante precisare che i numeri ufficiali contrastano con quelli riportati da Ristretti Orizzonti (che segnala 14 suicidi, incluso l’ultimo caso al carcere di Cremona) e con le stime dei sindacati della polizia penitenziaria, come la UILPA. Un quadro comunque desolante, che arriva dopo il 2024, anno nero con 90 suicidi (anche in questo caso i dati ufficiali sono discordanti), il numero più alto registrato in oltre tre decenni di rilevazioni ministeriali. Il documento, curato dal Collegio del Garante composto da Riccardo Turrini Vita, Irma Conti e Mario Serio, analizza i dati ufficiali del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP). Dalla lettura emerge inevitabilmente la percezione di un sistema al collasso, dove sovraffollamento, condizioni disumane e mancanza di tutela della salute mentale alimentano tragedie annunciate.

UN IDENTIKIT DELLA DISPERAZIONE

Tutti gli 11 suicidi registrati nel 2025 riguardano uomini: 5 italiani e 6 stranieri (Egitto, Tunisia, Romania, Algeria). L’età media è di 39 anni, con un picco nella fascia 40-55 anni (5 casi). Quattro su 11 erano già stati condannati in via definitiva, mentre 5 attendevano il primo giudizio, spesso da mesi. Tra i reati ascritti prevalgono quelli contro il patrimonio (rapina o tentata rapina), ma a emergere è soprattutto l’isolamento e la fragilità: 3 detenuti erano senza fissa dimora, 2 disoccupati, e solo 2 svolgevano attività lavorativa in carcere.

Sebbene non vi sia una correlazione diretta, è impossibile ignorare il legame tra suicidi e condizioni carcerarie. Gli istituti coinvolti presentano indici di sovraffollamento impressionanti: a Roma “Regina Coeli” la capienza è superata del 185%, a Modena del 151%, a Vigevano del 162%. Nove suicidi su 11 sono avvenuti in sezioni a custodia chiusa, tra cui celle di isolamento o aree ad alto rischio. «Queste strutture sono bombe a orologeria», denunciano gli esperti. «Il sovraffollamento riduce il controllo sui detenuti e limita l’accesso a programmi riabilitativi».

MODALITÀ E FALLIMENTI DEL SISTEMA

L’impiccamento, utilizzato in 10 casi su 11 (con corde rudimentali, lenzuola o persino lacci delle scarpe), è la modalità più frequente. Quattro detenuti suicidi nel 2025 erano già coinvolti in “eventi critici” (autolesionismo, tentati suicidi), e uno era sotto “grande sorveglianza” per rischio accertato. Eppure, nessuno di loro è stato salvato. Il sistema fallisce nel prevenire. Non bastano gli psicologi, i percorsi di ascolto sono pochi e i protocolli inefficaci.

Troppi detenuti vengono, di fatto, lasciati soli con la loro disperazione. Rita Bernardini di Nessuno Tocchi Caino lancia un appello: «Di questo passo rischiamo anche quest’anno di battere tutti i record della morte per pena», ricordando che il Ministro della Giustizia Nordio non ha ancora risposto alle interrogazioni parlamentari sui suicidi e ai doveri delle ASL in materia di salute, sollevate dal deputato Roberto Giachetti di Italia Viva.