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Così lontani così vicini: è lo strano mood della giustizia al tempo del centrodestra di governo. Da una parte affiorano di ora in ora le differenze, su carcere, esecuzione penale e nuovi reati, fra l’ala più intransigente della maggioranza, cioè la Lega e soprattutto FdI, e l’enclave garantista di Forza Italia. Dall’altra è bastato l’impegno di Giorgia Meloni davanti all’assemblea dell’Anci sulla modifica dell’abuso d’ufficio per svelare un’assai pragmatica convergenza: la rottamazione del reato che paralizza i sindaci non solo mette d’accordo il centrodestra, ma ottiene anche l’approvazione del Terzo polo. In particolare dei vertici di Azione, Carlo Calenda ed Enrico Costa, che aprono a Meloni e dichiarano il loro appoggio al guardasigilli Carlo Nordio. Ma andiamo con ordine. Partiamo dalle distanze nella maggioranza, affiorate con chiarezza l’altro giorno in commissione Giustizia al Senato, quando l’azzurro Pierantonio Zanettin ha detto: «La posizione politica del gruppo di Forza Italia è più garantista rispetto al testo sull’ergastolo ostativo contenuto nel decreto legge». Il senatore forzista non si nasconde: le norme che limitano la liberazione condizionale per i detenuti ostativi “non collaboranti”, ereditate dalla precedente legislatura e frutto di una sintesi targata essenzialmente 5 Stelle-Pd, vanno bene, ma non benissimo. Un testo che il governo Meloni ha fatto proprio e che adesso si trova appunto in commissione a Palazzo Madama, in attesa del deposito degli emendamenti, che i partiti potranno presentare entro lunedì. Zanettin pronuncia quella frase al termine della carrellata di audizioni. Ed è lì, con un evidente lavoro di diplomazia per tenere insieme le posizioni di tutti, che è riemersa la differenza tra i partiti di maggioranza, con gli uomini di Silvio Berlusconi decisi a non tradire la loro ispirazione garantista. L’occasione per smussare il testo viene offerta proprio dalle audizioni, dalle quali «sono emerse alcune criticità che riguardano in primo luogo la mancanza di una disciplina transitoria, nonché la previsione della competenza del tribunale collegiale in materia di concessione dei benefici». Zanettin fornisce un primo spunto di riflessione per le modifiche da portare in Aula: «Ripensare l'elenco dei reati di cui all’articolo 4-bis della legge n. 354 del 1975: l’eccessivo ampliamento del novero delle fattispecie, infatti, ha comportato la perdita del concetto del doppio binario in relazione alla possibilità di concedere o meno benefici penitenziari». E la spiegazione è arrivata ieri: l’intento è smontare la riforma Bonafede, che ha incluso i reati contro la pubblica amministrazione (che vanno dal peculato all'abuso di ufficio, alla corruzione) nella lista di quelli per cui non si potrà accedere ai benefici penitenziari e alle pene alternative al carcere. L’emendamento di Fi punta dunque ad escluderli dalla lista dei reati ostativi, per riportare la situazione a quella precedente alla Spazzacorrotti. L’equilibrio appare dunque instabile, anche se nessuno è disposto ad ammetterlo. Anzi, la parola d’ordine è sempre e comunque unità. Un imperativo, più che una convinzione, anche perché il primo banco di prova che l’esecutivo si è ritrovato davanti riguarda temi sui quali le sensibilità sono molto diverse. E le differenze sono affiorate pure riguardo alle norme anti-rave, contenute in quello stesso decreto 162 che ha accolto il testo sull’ostativo. Nessuna preclusione, ha evidenziato Zanettin, a regolamentare la fattispecie, ma serve cautela, per «evitare di essere accusati dell’introduzione di norme liberticide da Stato di polizia». Quindi per evitare che in qualche modo la norma possa estendersi ad eventi diversi dai rave, come occupazioni politiche e sindacali. Anche in questo caso sono gli interventi degli esperti auditi dalla commissione a fornire un assist per tenere a bada le distanze. Anche perché il rischio incostituzionalità è dietro le porte sotto diversi punti di vista. Zanettin ha dunque consigliato di «specificare ulteriormente la fattispecie», suggerendo «un supplemento di riflessione sull’inserimento» del “reato di rave” «all’interno del codice antimafia» . FI punta a specificare il riferimento alla circolazione di droga in eventi manifestatamente musicali e ad abbassare a 4 anni (rispetto ai 6 previsti dal decreto) la pena massima, per rendere impossibili le intercettazioni preventive. Al netto di ciò, il supporto di FI (che presenterà circa 15 emendamenti) va considerato scontato: il senatore garantisce «pieno sostegno» al governo ed alla maggioranza, sottolineando che l’intento degli azzurri è quello di «assicurare che i cosiddetti rave party possano essere repressi con le modalità più adeguate». Il tentativo di Zanettin di mantenere un equilibrio non sembra essere sfuggito a Sergio Rastrelli, di Fratelli d’Italia, che ha ribadito la posizione del suo partito: «Sulla legislazione antimafia ogni misura di inasprimento vedrà il gruppo di FdI assolutamente favorevole». Salvo poi rassicurare il collega circa l'eccessivo ampliamento dell’elenco dei reati ricompresi nell'articolo 4-bis: «Su questo sarà fatto un ulteriore sforzo di sintesi». Ma è sul reato di rave che il senatore meloniano ha piantato i paletti: «Il nuovo reato anticipa la condotta penalmente rilevante - ha evidenziato - ed in questo senso la forbice edittale prevista è conferente rispetto all'obiettivo di politica criminale che si intende perseguire: le intercettazioni sono peraltro funzionali proprio a consentire l’attività di prevenzione e impedire praticamente che si svolgano questi raduni illegali». Insomma, l’intesa sulle politiche della giustizia è work in progress. Ed è per questo che l’unanimità sull’abuso d’ufficio fa tirare un sospiro di sollievo nella maggioranza. La sorpresa, come accennato al’inizio, è che l’intesa sul tema potrebbe coinvolgere convintamente anche pezzi di opposizione. Calenda ha infatti chiesto e ottenuto un incontro con Meloni nei prossimi giorni. «La premier è nuova, pensiamo vada aiutata e non solo contestata», ha dichiarato, accogliendo con entusiasmo l’idea di rivedere la norma sull’abuso d’ufficio, che «va eliminato perché paralizza l’attività amministrativa dei sindaci: su questo punto condividiamo la linea del ministro Nordio», ha scritto sui social, seguito a breve distanza da Costa. Un’apertura che per molti prefigura un futuro “patto di via della Scrofa”, le cui ricadute sono tutte da scoprire.