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Se si scrive o si parla di carcere non si può non ricordare Dostoevskij e la sua celebre frase tratta da Delitto e Castigo “Il grado di civilizzazione di una società si misura dalle sue prigioni”. È davanti agli occhi di tutti come, salvo rare eccezioni, le nostre prigioni siano al di sotto di un autentico livello di civiltà e non in grado di rispettare il dettato costituzionale della rieducazione del condannato. Non è accettabile che, dall’inizio dell’anno, 186 detenuti siano morti in carcere tra cui 77 per suicidio e 27 per cause da accertare. Per questi, e per molti altri motivi, condivido l’appello de “Il Dubbio”, così come condivido la definizione di questa ecatombe. È vero: è un’autentica “strage” e bisogna chiamarla e definirla per quello che è per cercare di squarciare il silenzio assordante che avvolge la dimensione carcere nel dibattito politico. È difficile avere fiducia e sperare in un cambio di prospettiva positivo per il mondo carcerario. I segnali negativi sono, purtroppo, già evidenti. Salvo importanti, ma rare, eccezioni il panpenalismo domina la visione che la maggioranza parlamentare ha sui temi del carcere e, più in generale, della giustizia. Domina ancora una visione di “diritto penale totale” che è l’esatto contrario di quello di cui avrebbe bisogno la nostra giustizia penale, ossia depenalizzazioni dei reati meno gravi e rafforzamento della giustizia riparativa approvata, ma non ancora realizzata, con la riforma Cartabia. Il sovraffollamento delle carceri è un tema che non si risolve solo e soltanto con la realizzazione di nuove strutture. Sappiamo quanto un annoso problema sia legato alla carcerazione preventiva e ai suoi, purtroppo non rari, abusi. In carcere vi sono spesso persone che non dovrebbero esserci. Basti pensare ai tanti tossicodipendenti che non si aiutano con l’arresto e la condanna ma con l’assistenza e, se necessario, la cura. “Il Dubbio” sta portando avanti una battaglia di legalità, di giustizia e di rispetto dei diritti umani con proposte giuste e realizzabili. Il contatto con l’esterno è fondamentale e l’aumento delle telefonate a disposizione dei detenuti può essere una via. Fa specie che sia ancora in vigore un regolamento penitenziario approvato 22 anni fa che prevede una sola chiamata alla settimana. L’aumento degli spazi da dedicare ai familiari è umanamente doveroso. Penso a luoghi protetti per gli incontri con i figli, anche minorenni. Cose che all’estero sono all’ordine del giorno e da noi rare eccezioni. Si è visto quanto il lockdown causato dal Covid 19 abbia creato ulteriori disagi alla popolazione carceraria. Disagio esploso non solo con le rivolte ma con un aumento delle problematiche psicofisiche. La drammatica carenza di psicologi e psichiatri nelle strutture penitenziarie non è degna di un paese “culla del diritto” (tanto culla del diritto, diceva qualcuno, che la giustizia “si è addormentata”). È assolutamente necessario un cambio di passo; l’accoglimento delle proposte della petizione sarebbe un importante passo in avanti per dimostrare che il nostro Paese rispetta i princìpi costituzionali e i princìpi base di un Stato di diritto. Ed eviterebbe ulteriori condanne della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per le condizioni disumane delle nostre carceri. Da parte mia porterò all’attenzione delle Istituzioni comunitarie questa vostra, e nostra, battaglia di civiltà.